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Racconti di informazione indipendente

giovedì, Dicembre 10th, 2009

L’associazione di promozione sociale “Spazio etico” presenta una tavola rotonda dal titolo ‘Racconti d’informazione indipendente’. L’incontro, a cura di Claudia Damiani, avrà luogo il 12 dicembre 2009 alle ore 16 presso il Centro polifunzionale Enea di Roma, in via Boccea 530 (zona Casalotti).


L’incontro sarà occasione per gustare il sapore della vera informazione, ma anche quello dei prodotti equosolidali offerti da “Spazio etico” e dalla cooperativa “Equociquà” nell‘aperitivo che farà seguito alla tavola rotonda.

All’incontro parteciperà Fabrizio M. Rossi, che parlerà del ruolo dei mezzi di comunicazione nel terremoto de L‘Aquila e dunque anche delle iniziative dell’AIAP per l’Abruzzo.

Ti invitiamo a comunicare la tua presenza scrivendo un’e-mail all’indirizzo: info[at]spazioetico.it specificando nome e cognome o telefonando al numero 349-3920730.
Puoi trovare tutti i dettagli nella locandina allegata, mentre di seguito ci sono le indicazioni per raggiungere la sede dell’iniziativa:

– In auto. > Uscita 2 del G.R.A. (via di Boccea/via di Casalotti) direzione Casalotti
– Con i mezzi pubblici. > Prendere la Linea Metro A per 11 fermate. Scendere a Battistini e prendere la linea autobus 146 per 12 fermate.

Terremoto: due articoli per riflettere

venerdì, Settembre 11th, 2009

Rinviamo alla lettura di due articoli che inducono alla riflessione sul terremoto de L’Aquila.

Il primo, sui “doni del re mago”:

http://www.repubblica.it/2009/09/sezioni/esteri/libro-canada/libro-canada/libro-canada.html

Il secondo, sulla ricostruzione forzata e le manovre speculative sul centro storico:

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/polistirolo-city/2106291&ref=hpsp

Buona lettura.

I doni del re mago

giovedì, Luglio 30th, 2009

di Fabrizio M. Rossi

Fa un effetto desolante leggere l’articolo di Roberto Coaloa (“Povere biblioteche d’I-taglia”, nell’inserto domenicale del Sole 24 Ore del 26 luglio 2009) sulle condizioni del ricchissimo patrimonio librario italiano: la situazione delle biblioteche pubbliche del nostro Paese, costrette ad affrontare gli ulteriori, pesanti tagli dei fondi statali annunciati di recente, viene descritta come generalmente assai critica, tra grave carenza di personale, difficoltà estrema nelle nuove acquisizioni e nella gestione dei cataloghi esistenti, orari ristretti, malfunzionamenti di vario genere. È una pagina che andrebbe letta da capo a fondo, ma qualche cifra (tratta dall’articolo citato e da quello di Tullio Gregory, “La scure sui libri. E le auto blu?”) può rendere l’idea.
I fondi previsti nel Bilancio dello Stato del 2009 per il funzionamento della Biblioteca nazionale centrale di Roma ammontano a 1,5 milioni di euro contro i 3 milioni del 2001 (circa la metà, e senza considerare l’inflazione). Per l’acquisto di libri della Biblioteca nazionale universitaria di Torino lo stesso bilancio prevede 159mila euro contro i 390mila del 2005. Ancora più eclatante è il caso dei fondi previsti per il funzionamento della Biblioteca nazionale centrale di Firenze: 0,00 euro (leggasi zero). Non basta: sempre alla Universitaria di Torino l’ultimo concorso da bibliotecario risale al 1999. Quanto alle carenze nell’organico è sufficiente citare i casi della Nazionale di Roma – dove lavorano 270 addetti anziché i 392 necessari – e della Nazionale di Firenze – 208 su 334. Per finire, alcune prestigiose biblioteche pubbliche come la Casanatense e l’Angelica di Roma (quest’ultima celebre per essere stata la prima biblioteca europea aperta al pubblico, nel 1604) e la Marucelliana di Firenze sarebbero state declassate di rango “affinché i direttori non siano più di ruolo dirigenziale […] Un modo per pagare meno i nuovi direttori”.
Mi ostino a credere che lo stato delle biblioteche pubbliche sia uno tra gli indizi della civiltà di un Paese. Se così è, queste tristi notizie non farebbero altro che confermare quello che vediamo accadere intorno a noi ogni giorno, nell’abbandonare a se stesso ciò che è pubblico: cioè di nessuno, nella concezione dominante nostrana, e dunque derelitto, capovolgendo nel paradosso il postulato giuridico (“la cosa abbandonata è cosa di nessuno”).

Lo stesso Gregory, a conclusione del suo articolo, porta alla nostra attenzione quella che ironicamente chiama la “sensibilità per la cultura e le sue tradizioni” manifestata da “i vari anonimi ‘consiglieri del principe’: prova ne è l’omaggio offerto ai Grandi del G8”. Si sta parlando del volume in dieci copie Antonio Canova. L’invenzione della bellezza, realizzato da una Fondazione di cui Gregory non fa il nome, presumo per evitare di farle pubblicità (http://www.marilenaferrari-fmr.it/it/news_ed_eventi/scheda.php?id=62). Gregory sostiene che, a rappresentare l’Italia della grande tradizione tipografica dei Manuzio, dei Giunta, dei Tallone, dei Mardersteig, si è donato un libro “la cui eleganza – a giudicare dalle foto e dalla presentazione – è inversamente proporzionale al suo peso”: 24 chili, secondo la vulgata televisiva. Gregory passa a descrivere con raccapriccio quel che in effetti abbiamo sentito più volte nel martellare celebrativo dei media: copertina in marmo statuario di Carrara con bassorilievo riproducente un dettaglio di un’opera di Canova; e poi broccati, sete, ori e argenti, segnalibro e lente d’ingrandimento; il tutto racchiuso in uno scrigno di frassino e mogano, rifinito in oro. Un capolavoro di sobrietà; un cofanetto a cui mancano solo le caramelle. Per finire, udite udite, nome del destinatario (ed altro ancora) calligrafato in caratteri gotici. Gotico? Perché mai in gotico (e quale, poi)? Gregory se lo spiega istituendo un paragone col gusto delle più arretrate stamperie di provincia, uniche, in un contesto tipografico ‘latino’, a considerare quei caratteri particolarmente degni delle ‘grandi occasioni’. Un altro paragone potrebbe essere quello con il lettering caratteristico del pub finto-irlandese, ma non infieriamo.
Naturalmente non ho visto – ed escludo serenamente che io possa mai vedere – tra le mie mani l’oggetto in questione; tuttavia devo dire che, se mi attengo alle descrizioni giornalistiche, ai filmati e alle foto, non me ne dolgo: non tanto per il relativo sforzo ginnico (ma pur sempre 24 chili) a cui sarei sottoposto, quanto per quella ridondanza di materia – di segni che devastano il significato – che trovo particolarmente ottusa e proterva. Non posso pronunciarmi sui contenuti: le foto di Mimmo Jodice, intraviste nel sito della Fondazione, e i testi “di autori coevi a Canova”, di cui nulla ci è dato di sapere; ma è possibile, infine, separare forma e contenuti? La comunicazione sembra perfettamente in grado di farlo e proprio la furia comunicativa, celebrativa e persuasiva dei giorni del G8 ha battuto la lingua sul tamburo della materialità di questo oggetto, come a magnificare un dono da re mago agli occhi di noi poveri gonzi.
Ma poi ecco quel tocco finale, classica goccia di troppo: quella scrittura gotica che s’infila lì, dove non deve, eccesso sull’eccedente, tanto incongrua quanto rivelatrice della nudità del re.

Pubblicato su SocialDesignZine il 28/07/09 http://sdz.aiap.it/notizie/11469

Sumi-e a Roma

venerdì, Maggio 15th, 2009

L’Istituto Giapponese di Cultura inaugura martedì 19 maggio, alle 18,30, la mostra “Sumi-e a Roma”. Nel 1975 la pittrice giapponese Ikuyo Toba Chiba apriva a Roma uno studio per la pratica della pittura tradizionale giapponese Sumi-e. Da allora lo studio ha contribuito a diffondere questa disciplina artistica nella Capitale. Oggi alcuni degli ex-allievi di Ikuyo Toba Chiba tributano un omaggio alla loro Maestra con questa mostra collettiva, aperta fino al 26 giugno.

Opinioni sulla ricostruzione a L’Aquila

domenica, Maggio 10th, 2009

Ecco alcuni indirizzi per leggere opinioni diverse sulle responsabilità e sulla ricostruzione dopo il terremoto:

http://www.repubblica.it/2006/a/rubriche/piccolaitalia/terremoto/terremoto.html

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=56831

http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/cronaca/sisma-aquila-5/saviano/saviano.html

Le città del silenzio

martedì, Maggio 5th, 2009

di Fabrizio M. Rossi

Domenica, 3 di maggio, una mattina fredda tra lame di sole e pioggia insistente, a L’Aquila. A quasi un mese dalla grande scossa del 6 di aprile, i quartieri storici sono presidiati ad ogni ingresso, come sin dai primi giorni. Si può entrare, ma solo scortati dai Vigili del fuoco e per ragioni documentate, dopo essersi iscritti in una lista d’attesa. I Vigili non bastano per numero, e i loro turni sono duri; cosí si entra pochissimi per volta, e con grande cautela. La città vecchia è come sigillata e continua a rovinare per le continue scosse: già due, oggi, e siamo solo alle 11 del mattino.

Entriamo per porta Bazzano, quella che guarda verso sud-est dalle mura federiciane: verso la basilica di Collemaggio, ormai aperta al cielo, esattamente all’altezza del transetto; aperta come tante altre chiese, molto piú piccole e del tutto ignote, ma non meno stupefatte.

Dopo aver passato il posto di blocco degli Alpini è una sorpresa vedere, all’inizio della costa che sale su verso la piazza del mercato, le prime case ancora in piedi e, almeno in apparenza, in buone condizioni.


La sorpresa dura poco: da vicino, quasi ogni edificio rivela ferite profonde e malevole. A mano a mano che risaliamo via Fortebraccio, verso la grande scalinata di San Bernardino, la realtà si rivela. Muri rovinati a terra, lesioni sulle facciate, tetti sfondati, altane piegate verso il basso; e tegole, pietre e vetri in terra, confusi con oggetti di tutti i giorni, irriconoscibili, e accantonati tutti al lato della via in un primo, sommario sgombero per far passare i mezzi di soccorso.

Silenzio. Freddo, pioggia, sole e di nuovo pioggia. Silenzio, sopra ogni cosa.

Siamo solo noi ad aggirarci per queste strade, oggi che è domenica e la gente cerca di scappare via dal freddo e dal fango delle tende intorno a L’Aquila.

Già, perché sembra che la ‘qualità della vita’ non sia un granché, nelle tendopoli. Da quel che ho sperimentato non è esattamente come ‘essere in campeggio’, come ha avuto modo di dire invece un Grande Comunicatore. Delle due l’una: o ci prende per i fondelli, oppure ha frequentato campeggi scadenti.

Entrare in una di queste case non è piacevole né comodo. Guidati dai Vigili (“abbiamo paura come voi, sapete?”) scopriamo la rovina.

Un pianoforte coperto di macerie suona ancora, ma il tasto s’incanta e la nota se ne va lunga, nel silenzio.

Chi avrà la forza di ricostruire queste case come si deve, o si cederà tutto per un tozzo di pane?

Silenzio. Le mani coperte di polvere (“non si vedeva, non sapevamo dove scappare, a piedi nudi; non si respirava, e quel vento maledetto…”) usciamo in strada. Silenzio.

Il silenzio si è già steso su questa città e su decine di altri paesi toccati dal risveglio della Terra e dalle infamie dell’uomo.

Silenzio sulle case di cartapesta, sui difetti dei soccorsi, sulle promesse sfrontate dei Grandi Comunicatori, profuse a piene mani e già disattese. Guardate le prime pagine dei giornali o i titoli di testa dei notiziari televisivi: l’informazione centralizzata preferisce già la ‘grippe du porc’ (influenza porcina o bufala farmaceutica?) alle disgrazie del terremoto. Il cadavere dell’Aquila non è piú fresco, gli avvoltoi vanno altrove.

Ho un sogno: scrivere un ‘registro’ delle promesse di chi paghiamo per amministrarci. Una specie di quaderno dove, giorno per giorno, raccogliere il repertorio di dichiarazioni solenni che ci viene propinato quotidianamente dai Grandi Comunicatori, per confrontarle impietosamente con la realtà delle loro realizzazioni. Solo la realtà, umile e dura come la terra, può inchiodare come uno spillo alle loro parole gli acrobati della Comunicazione. È tempo di riflettere su tutto questo. È tempo di reagire, con tutta la civiltà di cui siamo ancora capaci.

La “Lettera per la ricostruzione” nei blog

venerdì, Maggio 1st, 2009

Di seguito alcuni blog che segnalano e rinviano alla “Lettera per la ricostruzione”:

http://www.polylogue.org/plus.php?id=149_0_1_0_M

il blog di Nicolas Taffin, presidente dei Rencontres Internationales de Lure;

http://www.accademiadellearti.it/blog/?p=92

il blog dell’Accademia delle Arti e Nuove Tecnologie di Roma;

http://sdz.aiap.it/notizie/11132

SocialDesignZine, il blog dell’AIAP

http://www.facebook.com/note.php?note_id=67245343405

gruppo su Facebook di SocialDesignZine;

http://www.newstin.it/tag/it/116202302

“Newstin, organizza la notizia”.

“Lettre pour la reconstruction” en français – “A letter for reconstruction” in english

venerdì, Maggio 1st, 2009

Foto: Fabrizio M. Rossi ©

La “Lettre pour la reconstruction” a été publiée en français sur le site de l’AIAP

http://www.aiap.it/documenti/11129/0/0/FR

“A Letter for the reconstruction” is now published in english at this address

http://www.aiap.it/documenti/11129/0/0/EN

25 aprile 2009: parole per ricordare

sabato, Aprile 25th, 2009

Costituzione della Repubblica italiana

Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Art. 3.Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Art. 4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Art. 5. La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento. Art. 6. La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche. Art. 7. Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale. Art. 8.Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. Art. 9. La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Art. 10. L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici. Art. 11. L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Art. 12 La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.

Mémoire et projet

venerdì, Aprile 24th, 2009

Foto: Fabrizio M. Rossi ©

par Fabrizio M. Rossi


Dans ce petit réseau d’hospitalité improvisé organisé ces jours-ci avec quelques amis sur la côte des Abruzzes, les enfants de L’Aquila qui sont avec nous se réveillent souvent la nuit, terrorisés par le moindre bruit ou par les secousses qu’on sent fortement jusqu’ici; de temps en temps nous croisons le regard de leurs parents, perdu dans le vide, et l’un d’eux se met à pleurer: L’Aquila n’existe plus, répètent-ils, et ils racontent sans abonder en détails, avec dignité, les faits de la catastrophe que nous ne connaissons pas, parce que “la douleur des autres est toujours une douleur vécue à moitié”.
Il y a vingt-cinq ans, je suis tombé amoureux de L’Aquila. Elle est devenue ma ville d’élection non pas tant parce que c’est le berceau de ma famille paternelle – moi, je suis né et j’ai grandi à Rome – mais parce que j’y ai reconnu une ville authentique, un phénomène digne du nom de ‘civitas’, encore que dans une province plutôt reculée. Je suis tombé amoureux de la couleur des pierres et d’un urbanisme en couches superposées : de la ville souabe à la ville des Anjou, et en remontant le cours des siècles, dans le dédale des ruelles ombragées où l’on se perd avec bonheur jusqu’à une ouverture soudaine dans lumière, parmi les cours silencieuses et les perspectives qui dirigent le regard sur les trois mille mètres du Gran Sasso, tout proche, à portée de la main. Une fête, pour un photo/graphiste comme moi,  à ses débuts, en quête d’une ‘terre de frontière’ où tenter l’aventure.
Mais une ville – une ‘civitas’ – n’est pas faite seulement de pierres. L’Aquila était faite de musique et de musiciens, elle était riche d’un Conservatoire et d’un orchestre parmi les meilleurs d’Italie, et les grands concertistes s’y présentaient en avant-première, pour ‘tester’ leur programme. L’Aquila, quand j’y suis arrivé, était faite d’artisans qui animaient la ville, ou cette partie de la ville que, par une expression malencontreuse,  on désigna ensuite comme  le ‘quartier historique’ , celui qui est devenu la proie des agences immobilières. C’était la ville vivante, alors, sans les vitrines des boutiques de luxe et les rideaux de fer des banques, qui meurent la nuit. C’était le bruit des outils, une odeur de sciure de bois, la vivacité des paroles parfois soulignées de quelque juron: la vie.
Les prix des maisons anciennes étaient abordables même pour nous, les simples mortels, et on s’employait à les restaurer avec enthousiasme, en s’endettant d’un cœur léger.  L’Aquila était faite du grand marché sur la Place de la Cathédrale (Piazza Duomo), où les paysannes venaient vendre  la ‘misticanza’, une salade d’herbes cueillies à l’aube sur la montagne : une rareté. On se promenait dans la ville à pied; quelquefois on chaussait  les skis de fond, parce que L’Aquila avait un climat austère en hiver, c’est le moins qu’on puisse en dire, mais en été elle vous offrait sa tiédeur parfumée. On rencontrait les fous ‘historiques’, des institutions intouchables. Libero et son verdict invariable: “quel drôle de monde, quel drôle de monde…”, et Riziero, qui était heureux quand on lui offrait une photo, de n’importe quoi. On allait manger du jambon et du fromage arrosé de bon vin, chez le Boss, en discutant jusqu’à ce que la table soit  desservie. La mémoire dont je parle n’est pas faite des grands monuments, dont L’Aquila était certes incroyablement riche, quatre-vingt-dix-neuf fois riche: c’est la mémoire du vécu et la mémoire du tissu urbain, qui se disputent la scène et se renvoient les répliques, sous les lumières toujours vives du temps et du lieu.
Bref, je suis tombé amoureux: ce sont des choses qui arrivent. Peu à peu j’ai commencé à comprendre et à apprécier les qualités un peu rudes des habitants: je ne parle pas des musiciens et des artistes qui, presque tous,  venaient d’ailleurs et formaient une communauté un peu spéciale; je parle des autochtones, qui se reconnaissent à un signe distinctif, la puissance massive du joueur de rugby et du Alpin, l’empreinte commune de la fierté et de la solidité, en dépit des tremblements de terre. 
Le tremblement de terre est la manifestation d’une force que l’on croyait ensevelie et qui dort là, quelque part, sous la terre et dans nos pensées, pour se réveiller soudain en hurlant (“comme le vent”, m’a dit aujourd’hui Maya, quatre ans). C’est une force terrifiante – mot tout à fait approprié – qui met à nu des aspects radicalement opposés des comportements humains: connivence sordide entre constructeurs et politiciens, vautours  médiatiques qui aggravent  encore l’inévitable, d’une part; et d’autre part la simple merveille de la solidarité, qui soulage la douleur et nous rend confiance dans l’humanité. 
La culpabilité des hommes est évidente dans l’effondrement, à L’Aquila, des édifices les plus récents, publics et privés, comme le nouvel Hôpital: une construction qui a duré trente ans, l’inauguration il y a une dizaine d’années, la ruine en trente secondes; comme la Maison de l’Etudiant, qui en a tué beaucoup, de ses étudiants; comme les petits immeubles en faux béton armé des spéculateurs immobiliers de l’après-guerre, vendus à prix d’or, qu’il a suffi d’un instant pour abattre comme des châteaux de cartes.
Reconstruire: certainement, et voilà le projet. Comme toujours, le problème est la médiation entre culture de la pratique et culture du savoir. Une culture du savoir qui ne débouche pas sur la pratique n’est qu’une pure divagation, mais une culture de la pratique qui ne serait pas guidée par le savoir équivaudrait à se bander les yeux pour frapper de droite et de gauche, au hasard. 
L’exemple de la reconstruction qui a suivi le tremblement de terre de la Val di Sangro, en 1984, toujours dans les Abruzzes, est utile et approprié. Les communes qui, dans l’adjudication des travaux de reconstruction, décidèrent de privilégier les critères de qualité, en attribuant les marchés à des entreprises compétentes soucieuses de respecter le territoire, ont réussi des reconstructions exemplaires: les pierres récupérées dans les ruines furent numérotées une par une, on réalisa des structures antisismiques sur lesquelles on reconstruisit dans les règles de l’art selon la documentation existante, en remettant chaque pierre à sa place; ce travail irréprochable dura huit ans. Par contre, dans les communes qui voulaient faire “bon marché”, une reconstruction défectueuse fut laissée à des entreprises uniquement motivées par le profit, et elles ont maintenant l’aspect typique d’une quelconque banlieue urbaine, présentant les carences fonctionnelles d’une quelconque banlieue urbaine. 
La mémoire nourrit le projet; le projet guide l’action. Et tout cela, dans l’habitat urbain en question, devrait être gouverné par des autorités riches de qualités éthiques. Mais n’est-ce pas comme demander à un calomniateur d’arbitrer les litiges, ou à un prévaricateur arrogant de donner des leçons de démocratie?
Les grands monuments de L’Aquila seront reconstruits à la perfection, nous en sommes plutôt certains. Le problème est le tissu urbain comme je l’évoquais. Si nous trouvons la force de reconstruire nos maisons à L’Aquila nous espérons que  ‘le législateur’  fera en  sorte que l’on puisse respecter la mémoire. En d’autres termes : que le soutien économique à la reconstruction puisse, comme il se doit, se traduire en qualité fonctionnelle, esthétique et, donc, existentielle. Sans l’illusion de reconstruire ce qui a été, mais, au moins, sans nous orienter forcément vers une radieuse “L’Aquila 2”*, fournie d’un centre commercial sur lequel resplendit le soleil de l’avenir. Amen.

Traduction: Guido Decrock

* comme a été proposé par l’actuel tout-puissant Premier ministre italien, sur l’exemple de “Milano 2”, batie par lui-même quand il était encore un ‘simple’ constructeur.

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