Buon compleanno, Flaiano (1)
venerdì, Marzo 5th, 2010Ennio Flaiano, Pescara 1910 – Roma 1972
«Fra 30 anni l’Italia sarà non come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la televisione.»
Alla fine le due cose coincidono.
Ennio Flaiano, Pescara 1910 – Roma 1972
«Fra 30 anni l’Italia sarà non come l’avranno fatta i governi, ma come l’avrà fatta la televisione.»
Alla fine le due cose coincidono.
Intervista a Fabrizio M. Rossi*
pubblicata su “Colloquia” 04/09, mensile edito da Il pensiero scientifico, Roma
Quanto è importante, e perché, una comunicazione efficace sulla salute?
La comunicazione delle istituzioni sulla salute rientra a pieno titolo in quella che è stata definita “comunicazione di pubblica utilità”. Ricevere informazioni esatte, complete e percorribili su ogni attività e servizio delle istituzioni o su importanti temi di interesse pubblico è un diritto fondamentale di ogni cittadino, sancito dalla legge; se riusciamo ad intendere lo Stato e le sue istituzioni come espressione partecipata di una comunità d’individui abbiamo il diritto di pretendere una comunicazione che non sia mera notifica né tantomeno propaganda. È evidente che, in un àmbito così delicato come la salute, tutto ciò sia imprescindibile e cruciale.
Per ragioni storiche tanto complesse quanto precise l’Italia non può certo ritenersi all’avanguardia mondiale nella comunicazione istituzionale. Il rapporto tra cittadino italiano e amministrazione pubblica è a dir poco controverso e il più delle volte improntato a reciproca diffidenza: è inevitabile che la comunicazione istituzionale rifletta tutto questo. Sebbene non si sia ancora giunti ad un livello accettabile, è tuttavia innegabile che su questo tema qualche passo avanti, dal secondo dopoguerra ad oggi, sia stato compiuto. Penso a quelle azioni legislative riformatrici che, a partire dalla fine degli anni Sessanta, hanno via via obbligato le istituzioni, prima locali e poi centrali, ad assumere un atteggiamento di dialogo nei confronti del cittadino e, conseguentemente, a comunicare di più e meglio. Non è molto, se paragonato con altre realtà europee, ma è pur qualcosa per un Paese come il nostro abituato, in un passato non troppo remoto e con persistenze non ancora sopìte, all’arroganza e all’inefficienza delle istituzioni, perfettamente riflessa dalla loro comunicazione: esoterica, occasionale o inesistente.
Qualcosa a un certo punto successe, come dicevo, e coincise con l’inizio della comunicazione di pubblica utilità, come proprio allora fu definita. Venendo all’àmbito che professionalmente mi riguarda, furono gli anni in cui i progettisti grafici italiani – in linea con analoghi movimenti europei – diedero inizio ad una riflessione sul proprio ruolo e sulla propria responsabilità in una società ormai profondamente cambiata: si cominciava a ragionare sulla ‘grafica utile’, ossia la grafica ‘altra’ rispetto alla comunicazione persuasiva, la grafica al servizio dei cittadini, attenta alle relazioni tra individuo e istituzioni, tra comunità e territorio, tra gli individui stessi. Furono gli anni in cui i progettisti grafici ebbero modo d’intervenire come protagonisti nella comunicazione dando forma visiva all’informazione istituzionale rivolta ai cittadini.
Volendo assumere alcuni avvenimenti come rappresentativi di questo movimento di pensiero e progettuale in Italia indicherei l’inizio delle esercitazioni di progettazione svolte da Albe Steiner all’Isia (Istituto Superiore per le Industrie Artistiche) di Urbino, alla fine degli anni Sessanta; la “Biennale della grafica di pubblica utilità”, tenutasi a Cattolica nel 1984; la redazione della Carta del progetto grafico da parte dell’Aiap (associazione dei progettisti grafici italiani) e di altre realtà professionali e universitarie, nel 1989, e del Codice di etica deontologica e condotta professionale, elaborato sempre dall’Aiap, nel 1993. L’attività professionale e didattica di Steiner contribuì a diffondere in Italia un modello di progettazione grafica attento alle esigenze sociali; la mostra di Cattolica fu un’importante occasione di confronto dei risultati ottenuti fino a quel momento dalla ‘grafica utile’; i due documenti citati, infine, presero coscienza del nuovo ruolo strategico del progettista grafico nel sistema della comunicazione, dichiarandosi apertamente a sostegno di una maggiore consapevolezza e responsabilità della progettazione grafica nei confronti dell’impatto sociale, culturale e ambientale.
Qualche esempio di comunicazione riuscita o mancata?
Tra gli esempi più interessanti di comunicazione di pubblica utilità italiana in quegli anni citerei il caso della città di Pesaro [figg. 1-6], esemplare per la continuità nel tempo e per l’estensione della progettazione grafica ad un ampio arco di attività istituzionali, dalla salute alla cultura, dallo sport alle scienze naturali. Un caso, questo, che si avvicina all’idea radicata in altre democrazie dell’Europa continentale, in generale attente più alla comunicazione finalizzata alla qualità della vita quotidiana che alle sue forme spettacolari e occasionali.
A contraltare dell’esempio di Pesaro sarebbe impietoso elencare la quantità impressionante di casi italiani di comunicazione di pubblica utilità mancata, malfatta o travisata nel tempo; preferisco istituire un rapido confronto tra uno dei migliori risultati italiani e l’analoga realtà europea di quegli anni. Il caso olandese è emblematico; nel secondo dopoguerra prende avvio in Olanda un’intensa attività di progettazione grafica al servizio delle istituzioni. Gli esempi sono numerosissimi ma fra tutti citerò il sistema di identità visiva del Ministero del benessere, della salute e della cultura [fig. 7] e quello delle Poste [figg. 8-12]; queste ultime si diedero un’identità visiva istituzionale coerente (carattere tipografico, grafica per i francobolli, per i formulari e per la pubblicità, progetto dell’arredo degli uffici, delle cassette postali e degli edifici) a partire dal lontano 1920, quando il loro segretario generale, Jean-François Van Royen, iniziò a lavorare in questa direzione rivolgendosi alle correnti più rappresentative delle arti visive di allora.
Vorrei proseguire con tre campagne di comunicazione inglesi ed una francese sull’Aids risalenti alla fine degli anni Ottanta, dall’impostazione progettuale molto diversa. Le prime due [figg. 13-14] si basano sull’effetto provocato dalla crudezza delle immagini, sebbene la seconda sia accompagnata da un testo esplicativo; la terza [figg. 15-16], invece, rinuncia all’uso di fotografie e fornisce un’informazione più specifica. La campagna di prevenzione sviluppata in Francia [fig. 17] ha un tono della comunicazione molto diverso: vuole evidentemente evitare di suscitare panico, suggerendo invece l’idea di una malattia evitabile se affrontata con responsabilità.
Concludo questo breve panorama con una campagna di educazione sull’igiene orale, sviluppata in seguito ad un’indagine epidemiologica che indicava la carie come un autentico flagello nei bambini di un dipartimento francese. La campagna di comunicazione venne realizzata per adattarsi ai programmi d’insegnamento delle scuole elementari, con particolare attenzione all’età dei bambini e tenendo conto delle loro diversità etniche e culturali [figg. 18-19]; materiali specifici furono approntati per gli insegnanti delle scuole sia come documentazione personale sia per svolgere attività condivise con i piccoli studenti [figg. 20-21]. Un caso, questo, di comunicazione sulla salute che si fa progetto educativo a lungo termine.
Le campagne di comunicazione istituzionali sulla salute (in Italia, dagli antibiotici alla pandemia) servono? Quale il rapporto costo-efficacia?
Non posso pronunciarmi sul rapporto fra costi e benefici delle campagne istituzionali sulla salute in Italia; credo che ogni caso andrebbe esaminato singolarmente e con molta attenzione. Quanto alla recente comunicazione sulla pandemia d’influenza ho l’impressione, come cittadino e come progettista della comunicazione visiva, che si sia trattato di un colossale pasticcio non privo di aspetti oscuri: una brutta storia, insomma. Posso aggiungere che dal periodo di cui ho parlato prima ad oggi molte cose sono cambiate. La comunicazione, visiva e non, si è fatta sempre più pervadente, sia in termini di quantità sia come ‘soglia d’impatto’: un’immagine cruda come quella della prima campagna inglese sull’Aids che ho citato non avrebbe oggi più alcuna efficacia, se mai l’ebbe allora, perché siamo saturi di immagini violente ed è sempre più difficile farsi strada nel rumore di fondo incessante della comunicazione. Insistere su questo tasto significa aderire ad un’idea di comunicazione spettacolare ed occasionale, come dicevo; al di là della violenza, che spesso mette soltanto in mostra il creativo di turno, credo che sia da rifiutare proprio la spettacolarità e l’occasionalità e lavorare sulla qualità della vita quotidiana, di cui sentiamo sempre più il bisogno. In sintesi, credo che l’unica comunicazione socialmente utile sia, al fondo, informazione per gli adulti ed educazione per i più piccoli; c’è altro per divertirsi, per provare brividi, per costruire un immaginario. Soprattutto credo che sia sempre più da ribadire la distanza irrinunciabile fra informazione e propaganda.
Con quali strumenti ed obiettivi le arti grafiche possono mettersi al servizio della comunicazione sulla salute?
Un progettista grafico dà forma visibile alle idee – ai contenuti – usando come strumenti testi e immagini, ma non solo: il nostro mestiere è anche strutturare i contenuti articolandoli, organizzandoli e, infine, dando loro la forma visibile adeguata. Gli strumenti? Non siamo (soltanto) ‘quelli della pubblicità’, anzi: progettiamo libri, riviste, siti web, cd-rom, sistemi di segnaletica… Potremmo definirci metaforicamente come traduttori o come ambasciatori; l’importante è che i traduttori non siano traditori e che gli ambasciatori si rendano conto che possono recar pena. Penso che il nostro mestiere abbia un certo impatto sociale, ammesso che vi siano mestieri che non ne abbiano; senza sopravvalutarci, mi sento di dire che possiamo fare qualche danno e, nel caso della comunicazione sulla salute, gli esiti possono essere immediatamente tangibili. Possiamo però fare anche qualcosa di utile mettendo le nostre capacità al servizio di buoni contenuti. Il tempo della ‘grafica utile’ è tutt’altro che finito e in Italia non sono pochi gli esempi in questo senso; uno fra tutti, il progetto promosso a partire dal 2003 dal Comune di Venezia [fig. 22] che si concentra proprio sulla leggibilità della comunicazione pubblica; c’è da ricordare inoltre l’impegno incessante dell’Aiap a favore della ‘grafica utile’, come nel caso del recente terremoto in Abruzzo [http://www.aiap.it/documenti/11104/145].
Oggi è necessario comprendere che ogni azione di comunicazione (visiva, nel nostro caso) può essere utile o dannosa e che non basta realizzare una ‘pubblicità progresso’ ogni tanto per mettersi la coscienza a posto: meglio dedicarsi a progetti duraturi ed utili, con grande cura. Ne va della salute di tutti.
Fabrizio M. Rossi è progettista grafico, fotografo e studioso della storia della grafica. Ha iniziato la sua attività professionale nel 1985 come consulente della Fondazione A. Olivetti. Nel 1987 ha fondato lo studio grafico Ikona che tuttora dirige. Nel 2002 ha ultimato, su incarico del Consorzio Baicr (Biblioteche e Archivi degli Istituti Culturali di Roma) il progetto multimodale Novecento italiano. Documenti per la storia delle idee e della società. Suoi lavori sono stati selezionati ed esposti in varie rassegne internazionali, fra cui tre Biennali della grafica di Brno. È redattore della rivista “Progetto grafico”; tra le sue pubblicazioni in volume, Caratteri e comunicazione visiva, Giochi di carattere, le voci “Comunicazione visiva”, “Design industriale” e “Manifesto” nell’enciclopedia Le muse. Si occupa dal 1990 di formazione per la comunicazione visiva, insegnando in diverse scuole. Ha partecipato alla formulazione e allo svolgimento del Corso sperimentale di grafica editoriale nelle carceri (1995-1999). Dal 2006 al 2009 è stato consigliere nazionale dell’Aiap (Associazione italiana progettazione per la comunicazione visiva) e ne cura i progetti a favore dell’Abruzzo.
1 Campagna sui consultori familiari (manifesto), Comune di Pesaro. Design: M. Dolcini, 1978.
2 Campagna di prevenzione del diabete (manifesto), Comune di Pesaro. Design: M. Dolcini, 1977.
3 Incontri sulla radioattività (manifesto), Comune di Pesaro. Design: M. Dolcini, 1987.
4 Rossini opera festival (manifesto), Comune di Pesaro. Design: M. Dolcini, 1981.
5 Festa dello sport (manifesto), Comune di Pesaro. Design: M. Dolcini, 1979.
6 Serata di scienze naturali (manifesto), Comune di Pesaro. Design: M. Dolcini, 1983.
7 Campagna sull’introduzione dell’identità visiva del Ministero del benessere, della salute e della cultura olandese (manifesto). Design: W. Nikkels e SDU, s.d.
8 Pagina interna del Nederlandse Postzegels 1981 (annuario dei francobolli olandesi) con bozzetto (di S. Stolk) di francobollo per l’anno internazionale dei disabili, PTT. Design: A. Beeke e DEV, 1984.
9 Doppia pagina interna del Nederlandse Postzegels 1984 con bozzetto (di K. Martens) di francobolli sul Parlamento europeo, PTT. Design: J. Stoopman e DEV, 1986.
10 Applicazione del logo delle PTT su un edificio. Design: P. Mijksenaar e DEV, 1984.
11 Manuale operativo dell’identità delle PTT. Design: P. Mijksenaar e DEV, 1979.
12 Copertina dell’annuario dei francobolli, PTT. Design: J. Stoopman (Studio Dumbar) e DEV, 1986.
13 Campagna sull’Aids, Central Office of Information, Departement of Health and Social Security, UK. Design: TBWA, 1986.
14 Campagna stampa sull’Aids, Central Office of Information, Departement of Health and Social Security, UK. Design: TBWA, 1987.
15 Locandina informativa sull’Aids, Central Office of Information, Departement of Health and Social Security, UK. Design: TBWA, 1987.
16 Locandina informativa sull’Aids, Central Office of Information, Departement of Health and Social Security, UK. Design: TBWA, 1987.
17 Campagna sull’Aids, Ministero della salute e della famiglia, Comitato francese d’educazione sulla salute. Design: Créhalet-Foliot-Poussielgues, 1987.
18 Tavola di calendario per le scuole materne; campagna di educazione sull’igiene orale, Francia, Consiglio generale dip. Seine – Saint-Denis. S.a., 1985-1986.
19 Manifesto-metro da utilizzare in casa; campagna di educazione sull’igiene orale, Francia, Consiglio generale dip. Seine – Saint-Denis. S.a., 1986-1987.
20 Copertina e scheda di un calendario da costruire insieme con l’insegnante della scuola materna; campagna di educazione sull’igiene orale, Francia, Consiglio generale dip. Seine – Saint-Denis. S.a., 1987-1988.
21 Tavola di calendario per le scuole materne, campagna di educazione sull’igiene orale, Francia, Consiglio generale dip. Seine – Saint-Denis. S.a., 1986-1987.
[1-21: immagini tratte da Images d’utilité publique, Éditions du Centre Georges Pompidou. Parigi, 1988]
22 “Questione di leggibilità”, pubblicazione nell’àmbito del “Progetto leggibilità, Comune di Venezia. Design: Studio Tapiro, 2005.
Se esiste un brano letterario che abbia fornito spunti di riflessione e dibattito ai filosofi contemporanei è quello citato da Maurizio Ferraris in Borges tra le parole e le cose (“Il Sole 24 Ore” del 14/2/2010), tratto da L’idioma analitico di John Wilkins (1951), di Jorge Luís Borges. In esso si parla dell’“Emporio celeste di conoscimenti benevoli”, ovvero della “Enciclopedia Cinese”.
«Nelle sue remote pagine è scritto che gli animali si dividono in (a) appartenenti all’Imperatore, (b) imbalsamati, (c) ammaestrati, (d) lattonzoli, (e) sirene, (f) favolosi, (g) cani randagi, (h) inclusi in questa classificazione, (i) che s’agitano come pazzi, (j) innumerevoli, (k) disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammello, (l) eccetera, (m) che hanno rotto il vaso, (n) che da lontano sembrano mosche.»
Come giustamente fa notare Ferraris, lo scrittore argentino addensa in questo brano «almeno tre vertigini»: una logica, una ontologica e una epistemologica. La prima: un catalogo che incorpora se stesso (“inclusi in questa classificazione”). La seconda: il“sublime matematico” kantiano che viene configurato da una tassonomia irraggiungibile (“innumerevoli” ed “eccetera”). La terza: l’accozzaglia di categorie disparate (“gli appartenenti all’Imperatore”, i “lattonzoli”, i “favolosi”…) che richiama alla memoria, secondo Ferraris, la critica di Kant alle categorie di Aristotele, accusate di procedere “rapsodicamente”, cioè a caso. Ferraris prosegue ricordando l’attenzione tributata da Michel Foucault, nel suo saggio Le Parole e le cose, alla “Enciclopedia Cinese” di Borges: il carattere paradossale del ‘catalogo’ di Borges ci interroga efficacemente sui nostri criteri di classificazione.
Le classificazioni dei caratteri tipografici meriterebbero urgentemente una riflessione approfondita; sebbene costituiscano tuttora un valido sostegno didattico e un discreto strumento di lavoro, esse sono sempre piú messe alle corde dalle mutate condizioni di produzione e di fruizione dei caratteri tipografici nell’epoca digitale. Le ‘chimere’ tipografiche (digitali e non) sfuggono alla tassonomia e ci impongono approcci diversi.
Fabrizio M. Rossi
La rivista scientifica “Colloquia” (edita da Il pensiero scientifico) pubblica, nel suo numero in uscita in questi giorni, una intervista di Manuela Baroncini a Fabrizio M. Rossi dal titolo La comunicazione (grafica e non solo) delle istituzioni sulla salute. Nell’intervista viene affrontato il tema della ‘grafica utile’: la sua storia in Italia e all’estero, la sua attualità, l’impegno dell’AIAP in questa direzione.
Nei prossimi giorni l’intervista sarà pubblicata sul sito dell’AIAP.
Sul tema della comunicazione della salute segnaliamo l’articolo di Gilberto Corbellini, “Il medico e l’impaziente”, pubblicato a pagina 30 de “Il Sole 24 Ore” del 14 febbraio 2010, che recensisce il volume La comunicazione della salute. Un manuale, a cura della Fondazione Zoé, edito da Cortina, Milano, pp. 480, € 29,00.
L’associazione di promozione sociale “Spazio etico” presenta una tavola rotonda dal titolo ‘Racconti d’informazione indipendente’. L’incontro, a cura di Claudia Damiani, avrà luogo il 12 dicembre 2009 alle ore 16 presso il Centro polifunzionale Enea di Roma, in via Boccea 530 (zona Casalotti).
L’incontro sarà occasione per gustare il sapore della vera informazione, ma anche quello dei prodotti equosolidali offerti da “Spazio etico” e dalla cooperativa “Equociquà” nell‘aperitivo che farà seguito alla tavola rotonda.
All’incontro parteciperà Fabrizio M. Rossi, che parlerà del ruolo dei mezzi di comunicazione nel terremoto de L‘Aquila e dunque anche delle iniziative dell’AIAP per l’Abruzzo.
Ti invitiamo a comunicare la tua presenza scrivendo un’e-mail all’indirizzo: info[at]spazioetico.it specificando nome e cognome o telefonando al numero 349-3920730.
Puoi trovare tutti i dettagli nella locandina allegata, mentre di seguito ci sono le indicazioni per raggiungere la sede dell’iniziativa:
– In auto. > Uscita 2 del G.R.A. (via di Boccea/via di Casalotti) direzione Casalotti
– Con i mezzi pubblici. > Prendere la Linea Metro A per 11 fermate. Scendere a Battistini e prendere la linea autobus 146 per 12 fermate.
Rinviamo alla lettura di due articoli che inducono alla riflessione sul terremoto de L’Aquila.
Il primo, sui “doni del re mago”:
http://www.repubblica.it/2009/09/sezioni/esteri/libro-canada/libro-canada/libro-canada.html
Il secondo, sulla ricostruzione forzata e le manovre speculative sul centro storico:
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/polistirolo-city/2106291&ref=hpsp
Buona lettura.
di Fabrizio M. Rossi
Fa un effetto desolante leggere l’articolo di Roberto Coaloa (“Povere biblioteche d’I-taglia”, nell’inserto domenicale del Sole 24 Ore del 26 luglio 2009) sulle condizioni del ricchissimo patrimonio librario italiano: la situazione delle biblioteche pubbliche del nostro Paese, costrette ad affrontare gli ulteriori, pesanti tagli dei fondi statali annunciati di recente, viene descritta come generalmente assai critica, tra grave carenza di personale, difficoltà estrema nelle nuove acquisizioni e nella gestione dei cataloghi esistenti, orari ristretti, malfunzionamenti di vario genere. È una pagina che andrebbe letta da capo a fondo, ma qualche cifra (tratta dall’articolo citato e da quello di Tullio Gregory, “La scure sui libri. E le auto blu?”) può rendere l’idea.
I fondi previsti nel Bilancio dello Stato del 2009 per il funzionamento della Biblioteca nazionale centrale di Roma ammontano a 1,5 milioni di euro contro i 3 milioni del 2001 (circa la metà, e senza considerare l’inflazione). Per l’acquisto di libri della Biblioteca nazionale universitaria di Torino lo stesso bilancio prevede 159mila euro contro i 390mila del 2005. Ancora più eclatante è il caso dei fondi previsti per il funzionamento della Biblioteca nazionale centrale di Firenze: 0,00 euro (leggasi zero). Non basta: sempre alla Universitaria di Torino l’ultimo concorso da bibliotecario risale al 1999. Quanto alle carenze nell’organico è sufficiente citare i casi della Nazionale di Roma – dove lavorano 270 addetti anziché i 392 necessari – e della Nazionale di Firenze – 208 su 334. Per finire, alcune prestigiose biblioteche pubbliche come la Casanatense e l’Angelica di Roma (quest’ultima celebre per essere stata la prima biblioteca europea aperta al pubblico, nel 1604) e la Marucelliana di Firenze sarebbero state declassate di rango “affinché i direttori non siano più di ruolo dirigenziale […] Un modo per pagare meno i nuovi direttori”.
Mi ostino a credere che lo stato delle biblioteche pubbliche sia uno tra gli indizi della civiltà di un Paese. Se così è, queste tristi notizie non farebbero altro che confermare quello che vediamo accadere intorno a noi ogni giorno, nell’abbandonare a se stesso ciò che è pubblico: cioè di nessuno, nella concezione dominante nostrana, e dunque derelitto, capovolgendo nel paradosso il postulato giuridico (“la cosa abbandonata è cosa di nessuno”).
Lo stesso Gregory, a conclusione del suo articolo, porta alla nostra attenzione quella che ironicamente chiama la “sensibilità per la cultura e le sue tradizioni” manifestata da “i vari anonimi ‘consiglieri del principe’: prova ne è l’omaggio offerto ai Grandi del G8”. Si sta parlando del volume in dieci copie Antonio Canova. L’invenzione della bellezza, realizzato da una Fondazione di cui Gregory non fa il nome, presumo per evitare di farle pubblicità (http://www.marilenaferrari-fmr.it/it/news_ed_eventi/scheda.php?id=62). Gregory sostiene che, a rappresentare l’Italia della grande tradizione tipografica dei Manuzio, dei Giunta, dei Tallone, dei Mardersteig, si è donato un libro “la cui eleganza – a giudicare dalle foto e dalla presentazione – è inversamente proporzionale al suo peso”: 24 chili, secondo la vulgata televisiva. Gregory passa a descrivere con raccapriccio quel che in effetti abbiamo sentito più volte nel martellare celebrativo dei media: copertina in marmo statuario di Carrara con bassorilievo riproducente un dettaglio di un’opera di Canova; e poi broccati, sete, ori e argenti, segnalibro e lente d’ingrandimento; il tutto racchiuso in uno scrigno di frassino e mogano, rifinito in oro. Un capolavoro di sobrietà; un cofanetto a cui mancano solo le caramelle. Per finire, udite udite, nome del destinatario (ed altro ancora) calligrafato in caratteri gotici. Gotico? Perché mai in gotico (e quale, poi)? Gregory se lo spiega istituendo un paragone col gusto delle più arretrate stamperie di provincia, uniche, in un contesto tipografico ‘latino’, a considerare quei caratteri particolarmente degni delle ‘grandi occasioni’. Un altro paragone potrebbe essere quello con il lettering caratteristico del pub finto-irlandese, ma non infieriamo.
Naturalmente non ho visto – ed escludo serenamente che io possa mai vedere – tra le mie mani l’oggetto in questione; tuttavia devo dire che, se mi attengo alle descrizioni giornalistiche, ai filmati e alle foto, non me ne dolgo: non tanto per il relativo sforzo ginnico (ma pur sempre 24 chili) a cui sarei sottoposto, quanto per quella ridondanza di materia – di segni che devastano il significato – che trovo particolarmente ottusa e proterva. Non posso pronunciarmi sui contenuti: le foto di Mimmo Jodice, intraviste nel sito della Fondazione, e i testi “di autori coevi a Canova”, di cui nulla ci è dato di sapere; ma è possibile, infine, separare forma e contenuti? La comunicazione sembra perfettamente in grado di farlo e proprio la furia comunicativa, celebrativa e persuasiva dei giorni del G8 ha battuto la lingua sul tamburo della materialità di questo oggetto, come a magnificare un dono da re mago agli occhi di noi poveri gonzi.
Ma poi ecco quel tocco finale, classica goccia di troppo: quella scrittura gotica che s’infila lì, dove non deve, eccesso sull’eccedente, tanto incongrua quanto rivelatrice della nudità del re.
Pubblicato su SocialDesignZine il 28/07/09 http://sdz.aiap.it/notizie/11469
Ecco alcuni indirizzi per leggere opinioni diverse sulle responsabilità e sulla ricostruzione dopo il terremoto:
http://www.repubblica.it/2006/a/rubriche/piccolaitalia/terremoto/terremoto.html
http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=56831
http://www.repubblica.it/2009/04/sezioni/cronaca/sisma-aquila-5/saviano/saviano.html
di Fabrizio M. Rossi
Domenica, 3 di maggio, una mattina fredda tra lame di sole e pioggia insistente, a L’Aquila. A quasi un mese dalla grande scossa del 6 di aprile, i quartieri storici sono presidiati ad ogni ingresso, come sin dai primi giorni. Si può entrare, ma solo scortati dai Vigili del fuoco e per ragioni documentate, dopo essersi iscritti in una lista d’attesa. I Vigili non bastano per numero, e i loro turni sono duri; cosí si entra pochissimi per volta, e con grande cautela. La città vecchia è come sigillata e continua a rovinare per le continue scosse: già due, oggi, e siamo solo alle 11 del mattino.
Entriamo per porta Bazzano, quella che guarda verso sud-est dalle mura federiciane: verso la basilica di Collemaggio, ormai aperta al cielo, esattamente all’altezza del transetto; aperta come tante altre chiese, molto piú piccole e del tutto ignote, ma non meno stupefatte.
Dopo aver passato il posto di blocco degli Alpini è una sorpresa vedere, all’inizio della costa che sale su verso la piazza del mercato, le prime case ancora in piedi e, almeno in apparenza, in buone condizioni.
La sorpresa dura poco: da vicino, quasi ogni edificio rivela ferite profonde e malevole. A mano a mano che risaliamo via Fortebraccio, verso la grande scalinata di San Bernardino, la realtà si rivela. Muri rovinati a terra, lesioni sulle facciate, tetti sfondati, altane piegate verso il basso; e tegole, pietre e vetri in terra, confusi con oggetti di tutti i giorni, irriconoscibili, e accantonati tutti al lato della via in un primo, sommario sgombero per far passare i mezzi di soccorso.
Silenzio. Freddo, pioggia, sole e di nuovo pioggia. Silenzio, sopra ogni cosa.
Siamo solo noi ad aggirarci per queste strade, oggi che è domenica e la gente cerca di scappare via dal freddo e dal fango delle tende intorno a L’Aquila.
Già, perché sembra che la ‘qualità della vita’ non sia un granché, nelle tendopoli. Da quel che ho sperimentato non è esattamente come ‘essere in campeggio’, come ha avuto modo di dire invece un Grande Comunicatore. Delle due l’una: o ci prende per i fondelli, oppure ha frequentato campeggi scadenti.
Entrare in una di queste case non è piacevole né comodo. Guidati dai Vigili (“abbiamo paura come voi, sapete?”) scopriamo la rovina.
Un pianoforte coperto di macerie suona ancora, ma il tasto s’incanta e la nota se ne va lunga, nel silenzio.
Chi avrà la forza di ricostruire queste case come si deve, o si cederà tutto per un tozzo di pane?
Silenzio. Le mani coperte di polvere (“non si vedeva, non sapevamo dove scappare, a piedi nudi; non si respirava, e quel vento maledetto…”) usciamo in strada. Silenzio.
Il silenzio si è già steso su questa città e su decine di altri paesi toccati dal risveglio della Terra e dalle infamie dell’uomo.
Silenzio sulle case di cartapesta, sui difetti dei soccorsi, sulle promesse sfrontate dei Grandi Comunicatori, profuse a piene mani e già disattese. Guardate le prime pagine dei giornali o i titoli di testa dei notiziari televisivi: l’informazione centralizzata preferisce già la ‘grippe du porc’ (influenza porcina o bufala farmaceutica?) alle disgrazie del terremoto. Il cadavere dell’Aquila non è piú fresco, gli avvoltoi vanno altrove.
Ho un sogno: scrivere un ‘registro’ delle promesse di chi paghiamo per amministrarci. Una specie di quaderno dove, giorno per giorno, raccogliere il repertorio di dichiarazioni solenni che ci viene propinato quotidianamente dai Grandi Comunicatori, per confrontarle impietosamente con la realtà delle loro realizzazioni. Solo la realtà, umile e dura come la terra, può inchiodare come uno spillo alle loro parole gli acrobati della Comunicazione. È tempo di riflettere su tutto questo. È tempo di reagire, con tutta la civiltà di cui siamo ancora capaci.
Di seguito alcuni blog che segnalano e rinviano alla “Lettera per la ricostruzione”:
http://www.polylogue.org/plus.php?id=149_0_1_0_M
il blog di Nicolas Taffin, presidente dei Rencontres Internationales de Lure;
http://www.accademiadellearti.it/blog/?p=92
il blog dell’Accademia delle Arti e Nuove Tecnologie di Roma;
http://sdz.aiap.it/notizie/11132
SocialDesignZine, il blog dell’AIAP
http://www.facebook.com/note.php?note_id=67245343405
gruppo su Facebook di SocialDesignZine;
http://www.newstin.it/tag/it/116202302
“Newstin, organizza la notizia”.