Archive for the ‘Grafica e società’ Category

Cinque cose da sapere

martedì, Gennaio 4th, 2011

Cinque cose da sapere per una buona comunicazione visiva. Fabrizio M. Rossi interviene sulla newsletter de “Il pensiero scientifico”, “Va’ pensiero”, con alcuni consigli per migliorare la forma dei nostri contenuti. A questa uscita della newsletter è abbinato un concorso di cultura tipografica; in palio Le magliuscole.

Meno spreco più diritti

venerdì, Settembre 10th, 2010

Prorogata al 30 ottobre 2010 la data di scadenza per la partecipazione al concorso “Meno spreco, più diritti”. Per ulteriori informazioni: www.utilitamanifesta.it

Progresso civile

domenica, Agosto 29th, 2010

“Oggi l’Europa è diventata più civile. Infatti, se visitate il castello di Warwick, in Inghilterra, troverete il seguente cartello:
Le camere di tortura sono sconsigliate ai visitatori in sedia a rotelle”.

Paul Collins, Al paese dei libri. Adelphi, Milano 2010.

L’estate di ogni abiezione

giovedì, Agosto 5th, 2010

Traduciamo e pubblichiamo quest’articolo di Hervé Le Crosnier (Caen, 1 agosto 2010) sulle recenti dichiarazioni del Presidente della Repubblica francese, secondo cui una condanna penale potrebbe comportare la perdita della nazionalità: se Atene piange, Sparta non ride.
Pubblicato sotto licenza Creative Commons by-nc.

Le dichiarazioni di Nicolas Sarkozy a Grenoble, rafforzate da quelle di Brice Hortefeux sulla gestione “di sicurezza” della nazionalità pongono evidenti problemi di costituzionalità ma ci impongono di riflettere immediatamente su almeno due punti: innanzitutto sulla necessità di riprendere il filo storico che fa sì che la situazione attuale puzzi di fine anni Trenta, poco prima dell’abiezione totale; poi sul dover comprendere quel che rende possibile questa deriva e, in particolare, cercare nelle pratiche delle opposizioni gli atteggiamenti che lasciano aperte le porte ad una simile situazione.

La “nazionalità” è un accordo convenzionale, non esiste “naturalmente”. Uno stato colonizzatore come la Francia lo sa bene, avendo “ritagliato” il mondo con frontiere “nazionali” al di fuori di ogni storia comune o di ogni progetto condiviso. La Francia è essa stessa uno Stato costruito grazie all’aver messo sotto tutela popoli all’interno delle sue stesse frontiere (bretoni, baschi, corsi, occitani…) in nome di un progetto “nazionale” e “repubblicano”. Essere francesi è una convenzione che è cambiata nel tempo e che cambierà ancora (ci definiremo forse europei tra un secolo?). Questa convenzione assoggetta gli individui alla nazione di cui essi sono membri. A lungo la coscrizione militare ne è stata simbolo. Una volta accordata la nazionalità per nascita (diritto del suolo), per filiazione (diritto del sangue) o per naturalizzazione, i diritti e i doveri sono gli stessi per tutti. Ammettere la “doppia ammenda” d’una condanna penale seguita da una perdita di nazionalità significa denigrare il funzionamento globale della giustizia: le pene comminate non sarebbero forse sufficienti, non sarebbero ‘giuste ed equilibrate” al punto che l’autorità amministrativa debba aggiungervene altre in modo arbitrario?

Ma, ancor peggio, ci sarebbe dunque un’anteriorità alla condizione convenzionale della nazionalità? Quante generazioni saranno considerate passibili del ritiro della nazionalità e sistemate in campi “di transito”? Quelli che non percepiscono in questo gli orrori degli ani Trenta hanno le orecchie ben turate: l’espressione “quarto di giudeo” non dice loro nulla?

Gli effetti dei discorsi della cricca al potere non possono giudicarsi nel breve termine. Quando Marine Le Pen esprime la propria soddisfazione al riguardo e vi vede la conferma delle proprie tesi, bisogna comprendere la deriva collettiva che ciò pone in atto. I razzisti al potere, anche dopo una condanna giudiziaria come nel caso di Brice Hortefeux, preparano un avvenire che non ha nulla di repubblicano e tutto di un’organizzazione del mondo per clan. Il sospetto si instaura e, invece di pensare la nazione come un progetto collettivo, la si va a definire come una zona protetta, ad immagine e somiglianza di quei condominii per ricchi irti di filo spinato e protetti da guardie armate, così da creare una sorta di “pelle di leopardo” su tutto il pianeta.

Evidentemente questa tendenza non è limitata alla Francia, purtroppo. Numerosi paesi vogliono decidere arbitrariamente la nazionalità. È l’essere “avoriano” nella Costa d’Avorio, è lo status differente degli ebrei e degli “arabi israeliani”, è il dibattito sui “chicanos”, è la questione lombarda in Italia… Il mondo globalizzato sta rimpiazzando i conflitti geopolitici con forme interne di etnicizzazione e di gerarchizzazione. Si sarebbe potuto credere abbandonata questa logica dopo il Secolo dei Lumi. L’esempio della Germania degli anni Trenta – sebbene fosse uno tra i paesi più ricchi di filosofi, poeti, musicisti, pensatori – avrebbe potuto illuminarci sul pericolo permanente di un ritorno alla barbarie.

Ma non arrivo ad arrendermi a vedere la Francia “dei Diritti dell’Uomo” – quella che si raffigura ad un tempo come un paradiso (grazie alla sua protezione sociale) e come un punto di riferimento nella capacità di rivolta e di rifiuto dell’arbitrio (la presa della Bastiglia) – sprofondare a sua volta nella follia razzista, con tutte le conseguenze sulla fine dello “stato di diritto” che annuncia il diffondersi di nuove guerre “asimmetriche” contro le popolazioni più inermi. I segni sono tuttavia chiari, dopo l’adozione dello “stato d’urgenza” nel novembre 2005, le retate all’uscita dalle scuole di ragazzini figli di “sans papiers”, il caso della “giungla” di Calais e le rodomontate dei ministri sulla nazionale di calcio…

Cos’è che rende possibile una simile abiezione, dal momento che sappiamo bene che ogni piccola affermazione non fa che preparare la successiva, in una spirale regressiva senza fine? Ecco la seconda domanda, più importante ancora per l’avvenire e, soprattutto, ecco la domanda che si pone a chiunque abbia a cuore la giustizia, l’uguaglianza e la fratellanza: cosa abbiamo lasciato fare? Cosa ancora stiamo lasciando fare?

I discorsi dei potenti ci mostrano le nostre debolezze. Rappresentando il “maggio ‘68” come fonte della delinquenza, dei problemi della scuola, del rapporto fra genitori e figli, accusando i cittadini preoccupati per la libertà, per il dibattito democratico, per la generosità, essi ci dicono in realtà che abbiamo lasciato dilapidare il potenziale libertario scaturito dall’ultima grande rivolta francese. Situandosi su questo versante ideologico e culturale, questi discorsi evitano di porre la questione dei rapporti di forza propriamente economici che conducono più del 10% della popolazione alla disoccupazione, che riducono le prestazioni di assistenza sociale e sanitaria, che marginalizzano i quartieri poveri per mancanza di fondi per la ricostruzione e la pianificazione, per mancanza di personale per assicurare il “servizio al pubblico”… perché la nostra focalizzazione sui cambiamenti “morali”, sulle questioni “societarie” ha permesso che si installi un modello economico di dominazione che ci conduce alla situazione attuale. Delinquenza, insicurezza, da una parte; autoritarismo e razzismo, dall’altra, sono le due mammelle della società neoliberale. L’accettazione, da parte del partito socialista, della globalizzazione neoliberale – fino a vedere due dei suoi dirigenti eminenti collocati alla testa uno dell’FMI, l’altro dell’OMC, i due organismi più significativi del nuovo ordine economico mondiale – è certamente una svolta fondamentale in questa breve traiettoria storica. Ma il nostro abbandono della costruzione di un’autentica forza sociale, culturale e politica in nome dell’“è sempre meglio che niente” è altrettanto colpevole.

Quando siamo consapevoli dell’evoluzione terribile del mondo e vediamo il nostro universo politico dilaniato, incapace di riunirsi sui punti fondamentali; quando vediamo i dirigenti delle cellule di partito, la cui sola speranza burocratica è superare lo sbarramento del 5%, pavoneggiarsi aggrappati alle loro “verità” come patelle sullo scoglio per resistere alla marea; quando assistiamo allo sbandamento delle organizzazioni di azione sociale incapaci di comprendere la posta in gioco della lotta contro la disoccupazione, l’organizzazione dei quartieri, la rivolta dei giovani senza speranza… non siamo noi stessi complici “per astensione” della deriva in atto?

Non è mai troppo tardi. Ma sarebbe meglio che noi decidessimo il più presto possibile di tornare sulla scena politica a partire dalle esperienze dei movimenti sociali, a partire dalle riflessioni polifoniche delle diverse correnti della sinistra critica e delle associazioni sociali. Lasciare ancora le decisioni ad altri che hanno già mostrato l’estensione della loro incapacità a formare un fronte sufficientemente forte contro la dominazione autoritaria che accompagna il neoliberalismo sarebbe piegarsi di nuovo di fronte al bulldozer razzista. La concezione di una società di lupi in guerra permanente tutti contro tutti è il modello maggioritario, tanto nei film hollywoodiani quanto per i dirigenti della nostra destra revanscistica e animata dall’odio. Non lasciamo che prenda piede. Riprendiamo la battaglia culturale e ideologica sul fronte politico.

In fondo il futuro appartiene ai sostenitori della libertà, dell’uguaglianza e della fratellanza, ma sarebbe meglio che non si avverasse dopo una crisi umana e morale così grande. Fin da ora bisogna correggere la rotta. Sta a voi farlo, voi che avete avuto il coraggio di leggere fino a qui. Che ciascuno trovi il proprio cammino ma soprattutto ritorni alla discussione, allo scambio, a mettersi in gioco sulla scena pubblica. Troviamo nuove forme d’organizzazione in rete, di accordo e di coordinamento, ma soprattutto non restiamo paralizzati dall’arroganza di chi ci governa.

Traduzione di Fabrizio M. Rossi

Design contest 2010

giovedì, Giugno 17th, 2010



Riceviamo e volentieri pubblichiamo.




Per rispondere alle Direttive Europee 2010 che invitano ad agire contro le forme di povertà mondiali e i fenomeni di esclusione sociale, Utilità manifesta / design for social lancia il Design Contest “Meno Spreco Più Diritti” per immaginare, ripensare e progettare modalità razionali di consumo e di utilizzo delle risorse.

Graphic designers, industrial designers, laureandi e laureati nei corsi di progettazione grafica e di disegno industriale, sono chiamati a progettare un manifesto o un oggetto culturalmente sensibile al claim “Meno Spreco Più Diritti” che produca reale cambiamento e miglioramento dell’esistente nel rispetto dei diritti fondamentali.
I partecipanti potranno iscrivere online i lavori accedendo al sito www.utilitamanifesta.it concorrendo nelle due sezioni graphic design / industrial design.

I progetti pervenuti saranno selezionati da una giuria internazionale, presto online sul sito. I vincitori saranno pubblicati nel catalogo del Design Contest 2010.

Calendario
18 giugno 2010 – Call for Entries
15 settembre 2010 ore 0.00 (GMT time) – Deadline di invio del lavori

Patrocinio
AIAP / Associazione Italiana Progettazione per la comunicazione visiva
ADI / Associazione per il Disegno Industriale – Delegazione Umbria

Partners di progetto
Libera / Associazioni, nomi e numeri contro le mafie
Artigianintaglio srl / Greve in Chianti (Firenze)

Contatti
info@utilitamanifesta.it
www.utilitamanifesta.it

Aiap: il mestiere di grafico in Italia

lunedì, Giugno 7th, 2010

Conferenza tenuta da Fabrizio M. Rossi ai Rencontres Internationales de Lure, 25-30 agosto 2008, sul tema “Vendu. Le contrat graphique” (Venduto. Il contratto grafico).


Rencontres Internationales de Lure, 25 – 30 agosto 2008
Al di là delle Alpi. Aiap: il ‘mestiere di grafico’ in Italia.
Conferenza di Fabrizio M. Rossi, consigliere nazionale AIAP

[1] /// “Straniero, non è mio costume trattar male gli ospiti… Tutti da parte di Zeus vengono gli ospiti e i poveri”.
Molto tempo fa, in giro per il Mediterraneo, si raccontava la storia di un uomo che, alzata la vela alla navicella del suo ingegno, molto aveva viaggiato per nostalgia.
Tornato finalmente in patria dopo vent’anni (non esistendo evidentemente all’epoca i navigatori satellitari) si sentiva rivolgere queste parole da un servitore che, pur non avendolo riconosciuto, lo accoglieva come un ospite sacro agli dèi.
Va da sé che io non mi paragoni in nulla a quell’uomo (salvo per il fatto che neanch’io usi il navigatore satellitare); ho voluto piuttosto rendere omaggio a questa visione arcaica che tematizza il viaggio, lo straniero, l’ospitalità, l’incontro.
Immagino cosí il mio intervento qui a Lure come un piccolo racconto offerto da un viaggiatore straniero ai propri ospiti, confidando nella loro benevolenza; poiché certamente non vorrete fare un torto agli dèi…
A dispetto delle formidabili spinte all’omologazione planetaria, mi ostino a credere nel potere del viaggio e dei linguaggi differenti, nella singolarità dei luoghi, nella necessaria arte dell’incontro fra le diversità.

[2] Credo ancora che, alla base dell’idea di valore – argomento centrale dei Rencontres di quest’anno – vi sia esattamente la differenza: senza di essa non vi è alcun valore. L’occasione – o, meglio, il pre-testo – per parlarvi del valore del ‘mestiere di grafico’ in Italia è raccontarvi dell’Aiap.

[3] /// Eccolo, il marchio dell’Aiap, a cui siamo particolarmente affezionati: una “A” in forma di matita che interpreto come un omaggio alla manualità del progetto.

[4] C’è chi vuol vedervi anche un certo richiamo ad uno spirito un po’ anarchico e molto pacifista che, a dire il vero, non ci è del tutto estraneo…
Raccontare dell’Aiap vuol dire, come vedremo, percorrere una buona parte della storia della grafica italiana del secondo dopoguerra, parallelamente alla storia della società, dell’economia, della cultura.

[5] /// Un’ultima annotazione preliminare: sin dal titolo del mio intervento ho usato l’espressione ‘mestiere di grafico’.
Ciò si spiega da un lato con la mia personale avversione nei confronti del termine abusato e pretenzioso di ‘professione’ in tutte le sue declinazioni e al mio preferire ad esso l’idea di ‘mestiere’, che evoca qualcosa del ‘mistero’ dell’artigianato e della cultura del gesto.

[6] Dall’altro, il mio vuol essere un omaggio ad un celebre libro, pubblicato postumo nel 1978, che raccoglie alcuni scritti importanti di Albe Steiner, una delle figure eminenti della grafica italiana del secondo dopoguerra e uno tra i fondatori della nostra associazione.

[7] /// L’Aiap, dunque, viene fondata nel 1945 ed è interessante seguire con attenzione le varie denominazioni che essa assumerà via via.
Esse riflettono infatti la percezione che i grafici hanno avuto di loro stessi e del proprio mestiere nel corso del tempo, o almeno la percezione dominante che si è affermata.


/// Ma andiamo per gradi: all’atto della sua fondazione, cioè a dire al termine della Seconda guerra mondiale e della guerra di Liberazione del Paese, l’associazione riunisce in sé i cosiddetti ‘tecnici’ e gli ‘artisti’ pubblicitari.
Dieci anni dopo, nel 1955, diverrà ‘Associazione Italiana Artisti Pubblicitari’, assumendo l’acronimo di Aiap che rimarrà invariato sino ad oggi.
Sebbene si osservi una distinzione tra ‘artisti’ e ‘tecnici’, è evidente che il termine ‘pubblicità’ sia dominante in quegli anni.
Ed è questo un termine che, sin da ora, suggerisco di sostituire con quello di ‘comunicazione persuasiva’, a mio avviso piú ricco di nitidezza e di motivi di riflessione.
Ad esempio, è tristemente noto che oggi la comunicazione politica in Italia sia stata fatta rientrare, nel suo complesso, nella comunicazione persuasiva, assumendone i linguaggi e i meccanismi.
È chiaro dunque che, in quegli anni, il dibattito nascente in Italia intorno al nostro mestiere non avesse ancora tematizzato in modo radicale la distinzione tra progetto grafico e comunicazione persuasiva, men che meno l’àmbito piú generale della comunicazione visiva a cui si approderà molti anni dopo.
Convivevano inoltre all’interno dell’Aiap figure ed approcci al mestiere di grafico sia di provenienza piú artistica sia di orientamento piú progettuale.
Pur nella parziale indeterminazione di quella che chiamerei ‘l’età dei pionieri’, l’Aiap era allora animata dalla presenza di grandi personalità appartenenti dunque ad àmbiti diversi: dai cartellonisti ai progettisti grafici piú propriamente intesi, fino a figure specializzate come i progettisti di caratteri tipografici.

[8] Incontriamo cosí, solo per citarne alcuni tra i piú celebri, Dradi, Boggeri, Testa, Grignani, Fronzoni, Novarese, lo stesso Steiner.
Siamo negli anni della ricostruzione post-bellica, a cui seguirà il cosiddetto ‘miracolo economico italiano’ che trasformerà profondamente il volto della nazione, da rurale a industriale, da autarchica a ‘consumista’.
Per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta, fino a buona parte dei Settanta, il polo economico dominante è situato al Nord del Paese. Città come Torino, Ivrea, Bologna, Milano, sono infatti al centro dell’attività produttiva.
In particolare proprio Milano, da sempre sede dell’Aiap, assumerà il ruolo di guida nell’orientare la riflessione teorica sul fare grafica.
Di conseguenza sarà la cultura funzionalista milanese ad influenzare in modo dominante il mestiere di grafico in Italia, almeno fino agli ‘anni di piombo’.


/// È proprio nel 1980 che l’Aiap percepisce la necessità di un primo, grande cambiamento. Molte sono infatti le trasformazioni sopraggiunte sia nel campo della comunicazione persuasiva sia in quello del progetto grafico.
Si ipotizza dunque l’esistenza di un àmbito generale in cui opera ormai il progettista grafico, àmbito che verrà definito come quello della ‘comunicazione visiva’.
Ecco che a tale riflessione consegue il cambiamento di denominazione dell’associazione che, pur mantenendo la sigla Aiap, diviene ‘Associazione Italiana Creativi della Comunicazione Visiva’.
Anche quel termine, ‘creativi’ (termine a mio avviso fuorviante rispetto alla cultura del progetto grafico), da un punto di vista fenomenologico risulta conseguente al clima postmodernista di cui saranno portatori gli anni Ottanta.


/// Un altro elemento importante, che si svilupperà a partire da quel decennio, sarà la diffusione su tutto il territorio nazionale degli associati all’Aiap.
Tale diffusione sarà dovuta essenzialmente alle mutate condizioni economiche dell’Italia, con la creazione di poli industriali al di fuori della tradizionale area settentrionale e con lo sviluppo generalizzato sul territorio del cosiddetto settore terziario o dei servizi.
La presenza nell’Aiap di progettisti operanti non piú soltanto nelle aree urbane del Nord ma nell’Italia ‘delle mille città’ porterà da allora un contributo fondamentale e multiforme alla vita dell’Associazione, svincolandola dalla cultura funzionalista milanese.

[9] /// Nel 1989, nel corso dell’assemblea nazionale di Aosta, viene redatta la Carta del progetto grafico, inaugurando simbolicamente l’epoca del dibattito piú acceso.
Autore della Carta è un comitato di cui fanno parte alcune delle realtà piú rappresentative del mondo della grafica in Italia.
Oltre all’Aiap vi sono, infatti, l’Adi (Associazione Design Industriale), il mondo dell’Università (rappresentato dalla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano), le riviste “Grafica” (promossa dall’Aiap) e “Linea grafica”.
La Carta poneva la grafica al centro della cultura del progetto cosí come, a loro volta, lo erano stati l’architettura negli anni Trenta e il design industriale negli anni Sessanta.
Tale nuova centralità del progetto grafico era dovuta all’identificazione tra quest’ultimo e la comunicazione visiva, secondo l’assunto ‘dove c’è comunicazione visiva c’è grafica’.
Si constatava cosí la parte cruciale rivestita dai sistemi della comunicazione e dell’informazione.
La Carta prendeva dunque atto del nuovo ruolo del nostro mestiere rispetto a mutate condizioni sociali, culturali ed economiche.
Al tempo stesso tracciava una linea di consapevolezza del fare grafica contemporanea al proprio tempo.
Ne delineava la duplice possibilità dell’alta specializzazione da un lato e, dall’altro, del ‘governo dei procedimenti’ e dunque del ruolo di regista a cui veniva chiamato il progettista grafico.
Denunciava inoltre la formidabile carenza, rispetto alla comunicazione visiva, degli istituti di studio pubblici in Italia, in particolare nell’àmbito universitario, impegnandosi cosí nella proposizione dei percorsi formativi piú idonei.
Sottolineando il fenomeno dell’‘inquinamento visivo’, della pletoricità della comunicazione visiva e della complementare indifferenza verso la ‘cultura dell’immagine’, la Carta metteva in risalto la nuova responsabilità del progettista grafico e la necessità di qualità nel progetto.
Si impegnava infine a promuovere il riconoscimento della nostra identità lavorativa nella società in generale, in assonanza con quanto stava avvenendo in altri Paesi e con gli intenti di organizzazioni internazionali a cui aderiva, come il Beda, o alla cui fondazione aveva partecipato, come l’ICoGraDA.
La Carta è stata sottoscritta da molti, sia progettisti sia studiosi della cultura del progetto, ed ha suscitato un vivo dibattito, all’estero come in Italia.

[10] /// Le istanze etiche della Carta hanno dato luogo, nel 1993, alla stesura e all’adozione da parte dell’Aiap del Codice di etica deontologica.
Il Codice definisce comportamenti consapevoli e responsabili del progettista grafico nei confronti della società e dell’ambiente, ai quali il socio dell’Aiap è chiamato ad attenersi.


/// Nel 1994, infine, il dibattito lanciato dalla Carta del progetto grafico sfocia nell’adozione di un nuovo statuto che ridisegna la struttura dell’Aiap e porta alla formulazione dell’attuale denominazione di ‘Associazione Italiana Progettazione per la Comunicazione Visiva’.

[11] /// Proprio a partire da questi anni l’Aiap conosce un periodo di grande sviluppo su molti fronti che tuttora prosegue.
Già nel 1992 si era inaugurata a Milano, nella sede dell’Associazione, la Galleria Aiap, con una mostra dedicata ai manifesti di AG Fronzoni.

[12] Da allora fino ad oggi la Galleria ha ospitato trentacinque mostre, di cui vorrei ricordare qui soltanto alcune.
Nel 1995 si allestisce la mostra antologica dedicata a Franco Grignani, un altro nome storico della grafica italiana nonché esponente di spicco della Op Art.

[13] Nello stesso anno, in collaborazione col Mois du graphisme di Échirolles, viene prodotta la mostra sui manifesti di San Pietroburgo, ovvero la grafica russa nel vortice del cambiamento tra il 1985 ed il 1995.

[14] Due anni dopo sarà la volta della mostra Ho pagato la quota, un cinquantennio di grafica italiana attraverso le carte intestate dei soci dell’Aiap.

[15] Nel 1999 ecco la rassegna sull’esperienza di Germano Facetti come direttore artistico alla Penguin Books di Londra.

[16] Sempre dello stesso anno è la mostra dei lavori di settanta progettisti sui temi del segno, dell’alfabeto, della scrittura e del linguaggio.

[17] Le reliquie di sottospirito, del 2006, è una singolare mostra che raccoglie oggetti in qualche modo cari a progettisti grafici famosi o sconosciuti di tutto il mondo.
Queste sono alcune delle mostre allestite nella Galleria Aiap di Milano in sedici anni di attività.


/// Ma in questo stesso arco di tempo, al di fuori della propria Galleria, l’Aiap ha organizzato, o realizzato in collaborazione, piú di centocinquanta mostre in tutta Italia.
Fra le collaborazioni piú prestigiose all’estero va senz’altro citata quella pluriennale col Mois du graphisme di Échirolles a cui si è già accennato.


/// Un’altra collaborazione importante, questa volta in Italia, si è avviata quest’anno con lo Scaffale d’Arte del Palazzo delle Esposizioni di Roma.
In questo caso l’Aiap ha fornito la consulenza scientifica per la rassegna Singolare femminile.
Quattro donne – un’esperta di tipografia, due progettiste grafiche e una regista – si sono susseguite nella realizzazione di seminari di tre giorni e di mostre di lavori dei partecipanti e propri.


/// Sempre nella sede dell’associazione si è costituito un Centro di documentazione che vuole essere un punto di riferimento per studenti e studiosi della comunicazione visiva.

[18] Sono stati acquisiti numerosi volumi e documenti sulla cultura del progetto, alcuni dei quali di particolare pregio e rarità, come ad esempio il fondo che raccoglie opere di Ladislav Sutnar.


/// Tra le mostre organizzate dall’Aiap occupano un posto particolare quelle destinate all’esposizione su Internet.
Dall’adesione alle varie edizioni dello World graphic day organizzate dall’ICoGraDA alle mostre estemporanee su temi politici e sociali di immediata attualità, le mostre via Internet si sono rivelate un efficace strumento di partecipazione diffusa.

[19] Voglio ricordare fra tutte Nessuno uniforme, mostra in rete del marzo 2003 contro la guerra in Iraq, che ha visto la partecipazione di circa trecento grafici in due mesi.


/// La partecipazione si è espressa anche in importanti raccolte di firme e petizioni, come quella contro il cosiddetto ‘marchio turistico dell’Italia’, che ha avuto come risultato il ritiro di tale marchio.


/// Proprio nell’àmbito di una strategia di sviluppo della partecipazione diretta della comunità dei grafici si colloca l’apertura del sito “SocialDesignZine”, nell’aprile del 2003.
Sulla scorta dei pochi precedenti dell’epoca, tra cui il rigoroso “SocialDesignNotes” di John Emerson, lo weblog sostenuto dall’Aiap si è sviluppato come un vero e proprio quotidiano di informazione della comunità grafica.
E non è sbagliato parlare di una ‘comunità grafica diffusa’, poiché uno degli aspetti piú interessanti dell’esperienza di “SDZ” è l’essere il suo pubblico ben al di là del novero dei circa ottocento soci dell’Aiap.

[20] L’idea di progettualità sociale (o social design) si delinea dunque attraverso l’esperienza di “SDZ” non soltanto come ‘progettualità responsabile’ ma anche come indispensabile rete informativa.
I circa trentamila lettori mensili di “SDZ” hanno portato recentemente l’Aiap ad affiancare all’edizione italiana un’edizione inglese e a produrre finora due antologie degli articoli e dei commenti pubblicati.

[21] /// Un altro passo importante verso la partecipazione diretta, questa volta del corpo associativo, è stata l’istituzione della cosiddetta “Aiap Community” a partire dal 2002.
In occasione dell’assemblea nazionale i soci vengono invitati a partecipare inviando un progetto significativo; tra tutti i progetti ne vengono selezionati cinquanta.
L’aspetto piú interessante dell’iniziativa è l’enunciazione pubblica del progetto che l’autore dovrà sostenere nel corso di “Aiap Community”, mettendone a nudo i procedimenti e trasformando il segno grafico in oralità (e gestualità, poiché sempre italiani siamo…).
Dopo l’esordio all’assemblea di Riccione del 2002, “Aiap Community” è stata riproposta a Trani nel 2004, a Perugia nel 2006 e ad Aosta nel 2007.


/// Le stesse assemblee nazionali sono diventate sempre piú, nel corso degli anni, un’occasione multiforme.
Ai tradizionali momenti assembleari si sono via via affiancate mostre (come quella dedicata alla grafica iraniana, nel 2004 a Trani), convegni e seminari (come durante la piú recente assemblea ad Aosta).

[22] /// Tra le iniziative piú importanti sostenute dall’Aiap vi è la rivista “Progetto grafico”.
Nata nel 2003 come evoluzione del notiziario associativo, sin dal primo numero la rivista quadrimestrale ha assunto una foliazione e una varietà di argomenti affrontati considerevoli per numero.

[23] Parliamo di numeri lasciando evidentemente il giudizio sulla qualità ai lettori: è senz’altro la rivista di grafica piú voluminosa d’Italia, che nel prossimo numero festeggerà le duemila pagine complessive pubblicate.
Ma quel che piú conta è il fatto che, in cinque anni, la rivista abbia acquisito un numero di lettori che, come nel caso di “SDZ”, va al di là del numero dei soci dell’Aiap.
Credo anche che si sia andati oltre l’intenzione iniziale che la voleva una rivista fatta da grafici e destinata ai grafici.
Mi piace pensare che sia un periodico leggibile anche da chi grafico non è, e forse ciò è merito della volontà della rivista di esser fedele alla cultura del progetto piuttosto che al tecnicismo del lavoro.
“Progetto grafico” non è una rivista ‘di consumo’ legata al momento dell’attualità, sebbene dall’attualità essa possa ricavare temi generali ed aprirli all’approfondimento.

[24] Penso ad esempio ai grandi temi dei concorsi pubblici (e, piú in generale, al rapporto della grafica con la pubblica amministrazione), o ancora al tema della formazione.
È da dire, relativamente a questi due esempi, che l’Aiap e “Progetto grafico” hanno intrapreso un’azione molto decisa e articolata.
Ad esempio sul fronte dei concorsi pubblici, vigilando affinché si adeguino in pieno alle norme fissate da Icograda; o anche su quello della formazione, incontrando i responsabili governativi ed evidenziando loro il vuoto formativo in cui tuttora giace il nostro mestiere.

[25] È dunque – o almeno crediamo che sia – una rivista di approfondimento, con forse un’involontaria tendenza all’enciclopedismo.
Uno dei temi piú cari a “Progetto grafico”, perfettamente in sintonia con una delle istanze centrali dell’Aiap, è la tipografia.

[26] Numerosi sono gli articoli pubblicati sinora su questo argomento, e le prime mille pagine complessive della rivista sono state celebrate con un allegato: l’edizione italiana, realizzata per l’occasione, di un classico della tipografia, Il calice di cristallo di Beatrice Warde.

[27] /// Non è dunque un caso che “Progetto grafico”, insieme all’Aiap, promuova un’altra iniziativa a favore della diffusione della cultura tipografica: i Laboratori di carattere.
La prima edizione dei Laboratori si è svolta a Parma nel 2007, ospitata dal Museo bodoniano e dalla Biblioteca Palatina, in omaggio alla figura di Giambattista Bodoni.

[28] La seconda edizione è del 2008 ed ha avuto luogo a Roma nella Biblioteca Angelica, prima biblioteca al mondo ad esser aperta al pubblico quattro secoli or sono.
La formula dei Laboratori consiste nella scelta di una città italiana che sia luogo eminente della civiltà della scrittura; in una ‘passeggiata tipografica’ per la città sulle tracce ivi esistenti della forma della scrittura; nella visita del luogo che ospiterà i Laboratori, scelto con il medesimo criterio di rappresentatività.
Infine, in tre laboratori tipografici condotti da tre differenti personalità, per offrire tre diversi approcci al progetto dei caratteri tipografici.


/// L’attenzione dell’Aiap nei confronti della cultura tipografica e della forma della scrittura ha origini remote.

[29] Tra il 1985 e il 1992 l’Aiap è editrice della rivista “Grafica” che, fin dai primi numeri, affronta tali temi.

[30] A questa si aggiungerà la rivista “Calligrafia”, edita dall’Aiap dal 1991 al 1995.

[31] Da piú di un decennio l’Aiap sostiene la collana editoriale “Scritture”, nella quale vengono pubblicati testi inediti di autori italiani e traduzioni di fondamentali opere straniere.

[32] Nel 1997 si realizza la mostra omonima che, dopo il debutto a Roma, verrà ospitata da numerose città italiane.

[33] Nel 2002 fa cosí il suo esordio il progetto Italic, inserendosi in un contesto generale che vede in Italia il risveglio degli studi tipografici e della pratica del progetto dei caratteri.
Italic è un’ampia rassegna dedicata ai disegnatori italiani di caratteri che, in massima parte, animano la ‘rinascita tipografica’ a partire dagli anni Ottanta.
La prima edizione di Italic si è concretizzata in una pubblicazione e in una mostra, presentata a Roma in occasione della conferenza dell’ATypI del 2002 e poi itinerante in tutta Italia.
La seconda edizione, in fase di preparazione, è finalizzata alla creazione di un archivio permanente del disegno dei caratteri contemporaneo in Italia, con una schedatura il piú possibile accurata di autori e progetti.
Oltre all’archivio è prevista la realizzazione, anche in questo caso, di una mostra e di un ampio catalogo.


/// Ancora un’altra iniziativa a favore della diffusione della cultura tipografica è TypoTour, nato all’interno di “SocialDesignZine”.
Si tratta di un archivio in rete che documenta la diffusione delle forme della scrittura nel paesaggio italiano, nel loro esito epigrafico, tipografico o letteristico, cólto ovvero spontaneo.
Le immagini e i testi di commento sono raccolti per luoghi e sono collegati a Google Earth, creando una sorta di grand tour virtuale delle forme della scrittura.


/// Rimanendo nell’àmbito di Internet va citato l’impegno dell’Aiap per la creazione e la gestione di un sito di riferimento per i soci e i progettisti grafici in generale.
Il sito presenta un’area ‘istituzionale’, dedicata a informazioni sull’Aiap e sulle sue attività passate, in corso e future, all’elenco dei soci e ad una galleria di loro lavori, alla libreria in rete che permette l’acquisto di libri, a notizie sulla formazione e sulle opportunità di lavoro.
L’altra area è riservata alle notizie, con una ‘prima pagina’, gli approfondimenti e l’archivio. Poi vi sono i collegamenti ai siti delle attività piú importanti promosse e sostenute dall’Aiap: “SDZ”, “Progetto grafico”, Italic e Multiverso.

[34] /// Multiverso è il titolo della serie di conferenze internazionali, mostre e laboratori organizzati dall’Aiap per l’ICoGraDA Design Week che si svolgerà a Torino dal 13 al 19 ottobre prossimi. La scelta della città di Torino rientra nel suo essere ‘capitale mondiale del design’ per il 2008. L’iniziativa comprende una conferenza internazionale di tre giorni, mostre, tavole rotonde e numerosi laboratori per studenti. Tra i relatori si annoverano importanti autorità internazionali nei diversi settori della comunicazione visiva. Accanto ad essi avremo il contributo di autori e studiosi che – muovendosi in campi adiacenti e affini – potranno fornire spunti riguardo alle possibili direzioni di sviluppo del progetto di comunicazione visiva.


/// Ho cercato di delineare in breve un profilo storico e attuale della nostra associazione. Non mi resta dunque che affrontare il tema del denaro, della cultura grafica e del mestiere che, in Italia, ‘non esiste’.
L’impresa non sarebbe da poco se molti argomenti fondamentali non fossero già ‘passati’ nella narrazione storica.

[35] Per farlo userò di nuovo un pre-testo: la pubblicazione dell’Aiap che affronta il problema del valore del nostro mestiere e della regolamentazione formale dei rapporti di lavoro.
Ancora una volta la storia dei termini usati può essere utile per comprendere l’evolversi delle cose e il loro stato attuale.
Uscita per la prima volta nel 1962, la pubblicazione di cui parliamo ha avuto per molte edizioni il nome di ‘tariffario’.
Pur adeguandosi all’aumentare dei prezzi delle prestazioni e al differente precisarsi di quest’ultime, è restata tuttavia a lungo ancorata all’idea, appunto, del ‘tariffario’.
Idea inadeguata in partenza, perché mai è esistito in Italia un albo professionale dei grafici e, dunque, illegittima è stata e sarebbe ora la pretesa di un ‘tariffario’.

[36] Nel 2000 avviene infine il cambiamento nel nome e nella struttura della pubblicazione, che diviene Guida agli onorari.
Da essa cito alcuni passaggi che ritengo importanti:
«[…] il cambiamento del titolo implica una riflessione e una constatazione sulle trasformazioni del mestiere di grafico: una volta artista, poi creativo e progettista, infine anche regista del lavoro e consulente delle imprese».
Negli anni Novanta «[…] la semplificazione delle procedure e degli strumenti del progetto […], introdotta da elaboratori sempre piú potenti e programmi sempre piú ‘abili’, non ha, come si temeva, reso superflua la figura del grafico ma la ha sublimata, dematerializzata, evidenziando la reale qualità del progetto ovvero la capacità di strutturare, gestire e formulare i processi comunicativi».
Si prendeva dunque atto, nell’edizione del 2000, di una nuova complessità della figura del progettista grafico e della impossibilità di esaurire tale complessità in una schematica definizione della prestazione e nella relativa tariffa – oltre alla inadeguatezza giuridica di un ‘tariffario’, come s’è detto.
Per la prima volta si proponeva un ‘sistema dell’Aiap’ per la determinazione degli onorari, prendendo in considerazione elementi come il tempo, le forze messe in campo, gli investimenti, le spese e cosí via.
Si superava in tal modo anche la difficoltà tipica di ogni tariffario, ovvero le forti differenze economiche tra le ‘mille città’ d’Italia.
Soprattutto si affermava il valore del progetto di comunicazione visiva contemporaneo, considerando elementi come lo studio di fattibilità o la pianificazione delle risorse che tradizionalmente risultavano di difficile valutazione o addirittura invisibili alla committenza.

[37] Nelle edizioni successive si è continuato a seguire questa nuova linea, fino ad arrivare all’edizione piú recente, quella del 2007, che risulta essere sempre piú ‘guida’ e sempre meno ‘tariffario’.
Citando dalla sua Introduzione, «[questa Guida] non vuole essere consultata come un listino ma come un quadro di riferimento chiaro e certo per le prestazioni del progettista. Non sono importanti le cifre ma le voci e il metodo con cui si può determinare un corretto compenso.»
Voci e metodo, dunque. Del metodo si è già detto, ed è un fattore di consapevolezza. Ma le voci anch’esse sono un contributo alla consapevolezza del nostro mestiere, delineandone le numerose articolazioni.


/// La Guida agli onorari non è rivolta soltanto ai progettisti ma a tutto il mondo della committenza, pubblica e privata.
C’è infatti da rilevare in Italia un ritardo storico nel riconoscimento sociale della stessa identità del progettista grafico.
Ne sono prova le carenze del sistema formativo, di cui abbiamo parlato, ma ancora, e ad un livello che inficia l’agire quotidiano, l’assenza di un semplice riconoscimento fiscale e previdenziale.
Ma anche se molto resta ancora da conquistare, di strada se n’è fatta e se ne continua a fare, e comincia a diffondersi una nuova consapevolezza.
La politica dell’Aiap non è quella di reclamare la costituzione di un albo professionale dei grafici, di cui non si sente il bisogno in un momento in cui, anzi, si cerca di limitare gli eccessivi privilegi degli ordini professionali già esistenti.
La politica dell’Aiap, come ho cercato di dimostrare in questo intervento, è indirizzata da anni all’affermazione sociale dell’identità del nostro mestiere.
Tale affermazione può avvenire in primo luogo attraverso la diffusione della cultura del progetto che valorizzi la singolarità dei nostri linguaggi e delle nostre storie.
In secondo luogo, attraverso il delinearsi di un sistema formativo adeguato che razionalizzi l’accesso alla pratica del nostro mestiere.
In terzo luogo, attraverso un’azione incisiva di informazione nei confronti di tutta la committenza, sia pubblica sia privata, nelle loro evidenti diversità.
Infine, facendosi portatori di un alto profilo di consapevolezza etica e sociale, non rinunciando mai ad un atteggiamento di critica verso oggetti, committenti e modalità del nostro lavoro.
Credo che oggi il progettista grafico rivesta un ruolo ‘pubblico’ qualunque sia l’oggetto e la destinazione del proprio lavoro.
Ciò a causa della pervasività della comunicazione visiva e del suo potere di generare tipi antropologici e comportamenti sociali, superando in modo inatteso la distinzione tra ‘privato’ e ‘pubblico’ con la privatizzazione della sfera pubblica e l’esibizione pubblica di ciò che è privato.
Dopo un ventennio dalla stesura della Carta del progetto grafico ritengo indispensabile una sua nuova formulazione, poiché quel che allora s’intuiva o era agli esordi ha assunto oggi dimensioni imponenti ed esiti talvolta imprevisti.
Solo per indicare alcuni fenomeni, penso al dominio della prassi tecnologica sulla riflessione teoretica, persino epistemiologica.
Penso al mutare di concetti di cui spesso si dà per scontato il significato.
Due fra tutti: il concetto di “informazione”, evidentemente prossimo a quello di “formazione” sia delle opinioni sia dei fatti; quello attiguo di “comunicazione”, in tutte le sue applicazioni, divenuto negazione di “conoscenza” e surrogato di “presenza”.
Tutto ciò ci riguarda come cittadini e come progettisti, ben al di là delle nostre nazionalità, io credo.

[38] Il confronto e la collaborazione con associazioni straniere di assoluto rilievo come i Rencontres de Lure sono obiettivi primari per noi.
Come affermavo all’inizio, la diversità crea valore, se è aperta all’ospitalità, all’incontro, alla collaborazione.


Grazie.


Testo e foto di Fabrizio M. Rossi.
Lurs, agosto 2008.


Immagini (a cura di Fabrizio M. Rossi)
01. Odissea, libro XIV, 56-58
02. Danza dei Feaci per Ulisse, Compagnia Teatrale Down
03. Il marchio-logotipo dell’AIAP
04. Un manifesto per Nessuno uniforme
05. Albe Steiner: Il mestiere di grafico. Einaudi, 1978
06. Manifesti per la 14a Triennale di Milano, 1968
07. Le diverse sigle e denominazioni dell’AIAP nel tempo
08. La classificazione dei caratteri proposta da Novarese
09. La Carta del progetto grafico
10. Il Codice di etica deontologica
11. AG Fronzoni: trent’anni di manifesti. 1992
12. Grignani: progetti di grafica e comunicazione visiva. 1995
13. Il manifesto di San Pietroburgo. 1995
14. Ho pagato la quota. 1997
15. Germano Facetti e i libri del Pinguino. 1999
16. Segno, alfabeto, scritture, linguaggi. 1999
17. Le reliquie di sottospirito. 2006
18. Articolo dedicato a Sutnar in “Progetto Grafico”
19. Nessuno uniforme. 2003
20. Il primo dei volumi antologici di “SDZ”
21. Aiap Community 0.1. 2002
22. Copertine di “Progetto grafico”
23. “Pg”: i Samizdat
24. “Pg”: la grafica di pubblica utilità
25. “Pg”: Glas, Jacques Derrida
26. Beatrice Warde: Il calice di cristallo
27. La locandina della 1a edizione dei Laboratori di carattere
28. La Biblioteca Angelica di Roma, 2008
29. La rivista “Grafica”
30. La rivista “Calligrafia”
31. La collana “Scritture”
32. La mostra Scritture
33. Il catalogo di Italic 1.0
34. Il logotipo e l’indirizzo internet di Multiverso
35. Edizioni del Tariffario Aiap
36. La Guida agli onorari del 2000 e del 2003
37. La Guida agli onorari del 2007
38. “Pg”: reportage sui Rencontres de Lure 2005

Lettera a Sandra, amica aquilana

sabato, Aprile 3rd, 2010

Cara amica,
è passato un anno dalla fine del mondo così come lo conoscevamo. Nulla è più uguale a prima né lo sarà mai più, ma resistiamo: il mondo esiste perché ci siamo noi a descriverlo e noi siamo qui, ben vivi, e questo importa; nonostante il nostro dolore, nonostante l’indifferenza altrui, nonostante le menzogne e le speculazioni di gente senza onore né vergogna, noi siamo qui.
Per un paradosso atroce è stata la catastrofe a risvegliare tutti i ricordi, ad uno ad uno, del tempo trascorso in un luogo che non esiste più. Per un anno abbiamo vissuto una morte senza fine, estesa nello spazio a piazze, a vie, a prospettive azzerate: luoghi d’incontri vivi con gente viva. L’Aquila della memoria è una città morta: centotrentacinque ettari di macerie e silenzio.
La ‘gente’ è stata bombardata d’immagini, di chiacchiere, di appelli umanitari, e già da tempo non ne vuol più sapere del terremoto a L’Aquila. In più, ogni tanto qualcuno mi dice: “Tutto a posto a L’Aquila, vero?”. Certo, tutto a posto; anzi, ce ne vorrebbe un altro, di terremoto. Ma venite a vedere tutto quel che si poteva salvare ed è stato lasciato a marcire e a gonfiarsi d’acqua e di gelo, venite a vedere le rovine che non sono state toccate, venite a vedere la ricostruzione negata e la costruzione insensata delle nuove borgate, e lo sradicamento di un’intera città!
Ora è tempo di smettere il lutto. Descriveremo un altro mondo, peggiore o migliore, combatteremo civilmente fino alla fine; ci aiuteremo gli uni con gli altri, così come abbiamo fatto un anno fa, quando ci siamo abbracciati senza parole, accampati così come potevamo. Soprattutto, non chiederemo elemosina ma quel che ci spetta come cittadini.
Amica mia, credo che ci tocchi agire in silenzio, senza piatire niente a nessuno ma con grande determinazione. Credo ancora nella forza dei progetti e nel valore della memoria, nonostante tutto. Credo che la città ferita si stia risvegliando.

Ti auguro di trascorrere quest’anniversario confidando nella nostra solidarietà.

Fabrizio M. Rossi

“Doculibro”, C&F éditions

mercoledì, Marzo 31st, 2010

Le edizioni C&F pubblicano un “doculibro” – ovvero un documento in forma di libro e dvd – consacrato al primo Forum mondiale sulle scienze e la democrazia svoltosi a Belem, nell’Amazzonia brasiliana, nel gennaio del 2009. Per la prima volta 300 persone hanno riflettuto sul ruolo che le scienze e le tecniche svolgono nel mondo contemporaneo, interrogando il funzionamento delle istituzioni scientifiche (finanziamento, politica scientifica, modi di produzione della conoscenza) in rapporto ai movimenti sociali. Il “doculibro” costituisce la memoria di questo avvenimento fondante, con tre reportage e una raccolta di testi risultanti dalla conferenza.

Fabrizio M. Rossi


http://cfeditions.com/sciences-et-democratie/

http://www.polylogue.org/commentaires.php?id=184_0_1_0_C

Flaiano (2)

domenica, Marzo 14th, 2010

Ennio Flaiano, Pescara 1910 – Roma 1972
«La situazione politica in Italia è grave ma non è seria.»

Non è seria, no, ma è senz’altro grave.

Orwelliana (1)

lunedì, Marzo 8th, 2010

«Who controls the past controls the future.

Who controls the present controls the past.»
George Orwell