Archive for the ‘Grafica e società’ Category

Nuovi caratteri, nuova “Repubblica”?

sabato, Aprile 12th, 2014

Giovedì 27 marzo 2014 il quotidiano “la Repubblica”, nella sua versione su carta, si presenta in edicola con una “copertina” dal titolo: «È un nuovo inizio» [foto 1]. All’interno della copertina troviamo un’interessante raccolta di prime pagine storiche del quotidiano – dalla sua fondazione nel 1976 ai nostri giorni – accompagnata da una nota di Ezio Mauro. Il direttore illustra i motivi che hanno spinto il quotidiano a elaborare una nuova veste grafica, affidandola all’art director Angelo Rinaldi. Alla base di questo cambiamento vi è la presa d’atto di una necessaria differenziazione dei contenuti destinati alla stampa – notizie “consolidate” e approfondimenti – dai contenuti caratteristici della rete, in continuo aggiornamento e perlopiù di libera disponibilità. Presa d’atto giusta, benché – a mio avviso – vagamente tardiva; ma, com’è noto, Roma non è stata fatta in un giorno, e un progetto grafico per un importante quotidiano non è cosa da poco: Mauro stesso ci informa che “la Repubblica” è il primo in Italia per diffusione, in entrambe le sue versioni.

Non mi soffermerò sul progetto grafico generale, limitandomi a rilevare una diffusa (e lussuosa) presenza di spazi bianchi – di “aria che circola” fra i testi e le immagini – che ben si addice alle intenzioni dichiarate di creare uno spazio di riflessione, di approfondimento e non di affollamento [foto 2].

Vorrei invece esaminare le scelte tipografiche di questo ridisegno, che già hanno suscitato “rumori e malumori” fra chi si occupa di queste vicende.

Il punto più critico è il carattere scelto per i titoli [foto 3]: il Cheltenham, nella versione della fonderia ITC (Tony Stan, 1978). È uno dei molti ridisegni dello storico carattere realizzato da Bertram Grosvenor Goodhue (1869-1924), architetto e tipografo influenzato dai caratteri della Kelmscott Press disegnati da Edward Burne-Jones. Goodhue lo progetta verso il 1896 per l’editoria (Cheltenham Press di New York), tuttavia il Cheltenham ottiene la sua maggior diffusione (almeno fino agli anni Trenta del Novecento) nei lavori commerciali. Il suo successo “di pubblico” non coinciderà però, sin dall’inizio, con un successo “di critica”. Verrà commercializzato prima dall’ATF nel 1902/1903, poi dalla Linotype e successivamente in almeno due dozzine di varianti. Viene considerato uno dei caratteri “americani per eccellenza”, chiamato in gergo d’oltreoceano Chelt (essendo Cheltenham, evidentemente, troppo lungo e troppo british).

Al di là dei dati storici – peraltro interessanti per comprendere la scelta (penserei a un omaggio al giornalismo americano) – vediamo in breve gli aspetti formali dell’ITC Cheltenham che sono essenziali per comprenderne la criticità in questo progetto.

È un carattere “nuovo transizionale” (usando i criteri classificatori di Blackwell) che presenta un occhio medio alto e tratti ascendenti più lunghi dei discendenti. Le sue controforme sono, dunque, manifestamente ampie.

Ora, è nozione diffusa e condivisa che lo spazio interno di un carattere determini lo spazio esterno a esso (si veda al riguardo quel che dice Mike Parker nel film Helvetica, solo per fare un esempio e rendere omaggio al tipografo scomparso il 23 febbraio scorso). Notiamo invece nei titoli (e sottotitoli) della nuova “Repubblica” un uso intenso e diffuso dell’avvicinamento fra i caratteri (tracking e kerning negativi), spesso a dispetto dello spazio disponibile. L’effetto è quello di “n’ammucchiata”, come ha avuto a dire una studentessa romana. Qui sí che c’è affollamento.

Delle due l’una: o sono sbagliati gli avvicinamenti rispetto al carattere, o è sbagliato il carattere rispetto al progetto.
Ma direi entrambe le cose, visto che l’esigenza di spazio sulla pagina mi sembra vitale per il progetto.

Sarebbe fondamentale conoscere i motivi delle scelte tipografiche di Rinaldi, tenendo conto del fatto che un progetto di comunicazione visiva (molto semplice o molto complesso, come in questo caso) è sempre frutto dell’incontro/scontro/mediazione fra le parti: fatto di non poco conto, a cui si aggiungono eventuali travisamenti o forzature nell’applicazione “sul campo”.

Aggiungiamo la presenza di un carattere “egiziano” [foto 4] nel corpo degli articoli (sembra che sia un Egyptian 505, ma la stampa lo deforma), anch’esso con occhio medio ampio e anch’esso sottoposto spesso ad avvicinamenti forzati, oltre che a corpi miseri, nemici dei presbiti (giovanilismo?). Per finire, balza agli occhi un “neogrottesco” nelle didascalie delle foto, sovente in corpo maggiore rispetto a quello degli articoli.

Insomma: francamente, sul lato della tipografia, un’occasione mancata, per il quotidiano italiano più diffuso. Perché non investire (e sottolineo: investire) in una serie di caratteri appositamente disegnati? Mancanza di sensibilità tipografica, forse?

A beneficio degli studenti italiani di tipografia – che sudano sette camicie per apprendere una disciplina dura e spietata e partecipano con impegno al suo rinascimento nella terra dei cachi – c’è da dire che non esiste soltanto il caso del gruppo francese “Le Monde” che, nel 1994, fu spinto a commissionare a Jean-François Porchez la ben nota serie di caratteri che porta il nome del quotidiano transalpino. Ebbene, udite udite: anche in Italia si son fatte operazioni simili, parlando solo del passato più recente: penso ai caratteri disegnati per il “Sole 24 ore” (Sole serif, Luciano Perondi, 2010), per il “Corriere della sera” (Solferino e Brera, Luciano Perondi e LeftLoft/Andrea Braccaloni, 2007) o per “L’Espresso” (GFT Lespresso Sans Bold e Regular, Gio’ Fuga, 2007). Certo, sarebbe anche interessante vedere quale uso, nel tempo, è stato fatto dai committenti di tali caratteri (non escluso il caso di “Le Monde”), ma questa è un’altra storia.

Quindi, non demoralizziamoci: confidiamo in nuove splendide occasioni per i progettisti italiani di caratteri.
E, soprattutto, non sarà il caso della “Repubblica” a farci emigrare, vero?
Fabrizio M. Rossi

Foto_01: il titolo della “copertina”.

Foto_02: lo spazio sulla pagina.

Foto_03: titolo e sottotitolo.

Foto_04: il corpo del testo.

Tipografia espressiva: Cavan Huang

martedì, Febbraio 25th, 2014

Cavan Huang è nato nel 1977 a Toronto, Canada. Ha studiato urbanistica alla McGill University di Montréal e graphic design alla Rhode Island School of Design. Ha lavorato per sei anni alla Time Warner. È direttore creativo associato di Interbrand (New York). Suoi lavori sono stati pubblicati su Contemporary Graphic Design, CMYK Magazine, AdAge Magazine.

Nei suoi lavori, come per esempio gli Harlem Documents (segnalati da Alessandro Bigardi, che ringrazio) è presente una duplice attenzione nei confronti sia della tipografia sia dei contesti urbani.

Tipografia espressiva: Barbara Kruger

mercoledì, Febbraio 19th, 2014

«Barbara Kruger è nata a Newark, nel New Jersey, nel 1945. Dopo aver frequentato la Syracuse University, la School of Visual Arts e aver studiato con Diane Arbus alla Parson’s School of Design di New York, ottiene un incarico di lavoro alla Condé Nast Publications. Lavorando per la rivista “Mademoiselle” viene presto promossa capo designer. Successivamente lavora come graphic designer, art director e editor d’immagini nei dipartimenti d’arte di “House and Gardens”, “Aperture” e altre riviste.

Questa somma di esperienze è evidente nel lavoro per il quale Barbara Kruger è ora internazionalmente nota. Nelle sue opere si sovrappongono testi concisi, potentemente espressivi e aggressivi a fotografie che coinvolgono il lettore nella lotta per il potere e il controllo di cui parlano le didascalie. Nel loro inconfondibile aspetto – lettere nere su contrastante sfondo rosso – i suoi slogan divengono immediatamente riconoscibili: «Compro dunque sono», «Il tuo corpo è un campo di battaglia». Molti dei suoi testi pongono interrogativi su femminismo, consumismo, autodefinizione e desiderio, mentre le immagini – in bianco e nero – sono estratte da riviste ampiamente diffuse che “vendono” le stesse idee che Kruger contesta.

Il suo lavoro è presente in musei e gallerie di tutto il mondo, così come è apparso su cartelloni stradali, manifesti e in parchi pubblici o stazioni ferroviarie, come a Strasburgo, in Francia, ed è stato richiesto da altre amministrazioni pubbliche.

Ha insegnato al California Institute of Art, alla School of the Art Institute of Chicago e alla University of California, Berkeley.
Vive a New York e a Los Angeles.»

Dal sito di Barbara Kruger.
Lavori di Barbara Kruger.
Installazione «Belief+Doubt».
Barbara Kruger: In conversation with Iwona Blazwick, from Modern Art Oxford: this is tomorrow

Invictus. In memoria di Nelson Mandela

sabato, Dicembre 7th, 2013

Invictus

Out of the night that covers me,
Black as the pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.

In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.

Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds and shall find me unafraid.

It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll,
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.

Dalla notte che mi avvolge
nera come il pozzo che va da un polo all’altro,
ringrazio qualunque dio possa esistere
per la mia anima indomabile.

Nella crudele morsa delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato per l’angoscia.
Sotto i colpi di randello della sorte
il mio capo è sanguinante, ma non chino.

Oltre questo luogo di collera e lacrime
incombe solo l’Orrore delle ombre
eppure la minaccia degli anni
mi trova, e mi troverà, senza paura.

Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto pieno di castighi il cammino.
Io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima.

William Ernest Henley

traduzione di Fabrizio M. Rossi

L’acqua è un diritto umano

martedì, Aprile 9th, 2013

Segnaliamo l’iniziativa promossa da CGIL Funzione pubblica e dal Forum italiano dei Movimenti per l’acqua, riportando di seguito il testo in evidenza sul sito www.acquapubblica.eu/

«UN MILIONE DI FIRME PER FERMARE LA PRIVATIZZAZIONE DELL’ACQUA, MANCA ANCORA LA TUA

WaterRight  logo-blu

L’iniziativa dei Cittadini Europei per chiedere alla Commissione Europea che le risorse idriche siano messe fuori dal mercato ed al riparo dai tentativi di privatizzazione ha superato il milione di firme.

È un risultato importante per contrastare la privatizzazione del servizio idrico voluta dalla Commissione Europea e rafforzare la battaglia per l’applicazione del  referendum sull’acqua in Italia.

Per centrare l’obiettivo è necessario che in almeno 7 paesi si raggiunga la quota minima stabilita.

In Italia mancano 40 mila firme per raggiungere il quorum e 100 mila per contribuire a raddoppiare e raggiungere i due milioni complessivi entro il 22 marzo, giornata mondiale dell’acqua.

5 piccole azioni in 5 minuti per partecipare anche tu all’iniziativa:

1) Se non hai ancora firmato fallo al più presto cliccando qui

2) Se hai firmato convinci almeno altre due persone a farlo

3) Condividi sui social network la pagina www.acquapubblica.eu

4) Scarica qui la cover dell’ICE ed esponila sul tuo profilo facebook fino al 22 marzo

Aiutaci a trasformare l’acqua in un bene comune in tutta Europa.»

La metamorfosi di Kakà

domenica, Aprile 7th, 2013

Fabrizio M. Rossi [text], 1a edizione de La metamorfosi, Lipsia 1916 [images]

Annoto sul mio “dispositivo mobile” (mobile device) questa bella citazione dai Diari di Kafka:

«Ogni parola prima di lasciarsi scrivere da me si guarda in giro da tutte le parti»

Mentre sto scrivendo il nome “Kafka”, il programma suggerisce “Kakà”… Fantastico: finalmente il giusto riconoscimento a un campione dell’umanità.

Allora provo a riscrivere “Kafka”, ma ormai il programma ha imparato e non s’azzarda più: il suggerimento ora è proprio “Kafka”.

Potenza della didattica.

Aforismi e citazioni 6

domenica, Febbraio 3rd, 2013

Fabrizio M. Rossi [text]

Telefonata in diretta televisiva a Eduardo de Filippo:
«Pronto, qui è la televisione!»

Eduardo:

«Attenda in linea, le passo il frigorifero…»

Aforismi e citazioni 5

domenica, Gennaio 27th, 2013

Fabrizio M. Rossi [text]

«Le elezioni non suscitano più alcuna passione; i figli deputati succedono ai padri deputati, e pensare che “candidato” deriva dal latino “candido”

La storia può ripetersi, purtroppo, se la memoria è corta e il nostro linguaggio è idiota.
Per celebrare la «Giornata della memoria» del 2013 pubblichiamo un pensiero che sembra formulato oggi. Risale invece a un secolo e mezzo fa, essendo tratto da «Paris au XXe siècle», opera di Jules Verne (1828-1905) scritta intorno al 1863 e ambientata nella Parigi di un secolo dopo. L’opera, rifiutata a suo tempo da Hetzel, l’editore di Verne, è stata ritrovata nel 1986 e pubblicata nel 1994 da Hachette.

Aforismi e citazioni 4

giovedì, Gennaio 10th, 2013

Fabrizio M. Rossi [text] Marialidia Rossi [image]

Prima o poi doveva accadere.

Lampedusa: la dignità del dolore

lunedì, Novembre 12th, 2012

Giusi Nicolini, Fabrizio M. Rossi [text] Déclaration des droits de l’homme et du citoyen de 1789 [image]

L’appello del sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, pronunciato nel corso della trasmissione “Fahrenheit” andata in onda su Radio RAI 3 il 7 novembre scorso, è a nostro avviso un esempio di dignità del dolore di fronte a una tragedia ininterrotta ma percepita solo a tratti dall’opinione pubblica. L’augurio è quello che i mezzi di comunicazione di massa decidano – poiché di decisione si tratta – di dare spazio a questa tragedia sollecitando atteggiamenti e interventi più onorevoli da parte dell’intera comunità europea.
Riportiamo di seguito la trascrizione dell’appello pronunciato da Giusi Nicolini.

«Sono il nuovo Sindaco delle isole di Lampedusa e di Linosa. Eletta a maggio, al 3 di novembre mi sono stati consegnati già 21 cadaveri di persone annegate mentre tentavano di raggiungere Lampedusa e questa per me è una cosa insopportabile. Per Lampedusa è un enorme fardello di dolore. Abbiamo dovuto chiedere aiuto attraverso la Prefettura ai Sindaci della provincia per poter dare una dignitosa sepoltura alle ultime 11 salme, perché il Comune non aveva più loculi disponibili. Ne faremo altri, ma rivolgo a tutti una domanda: quanto deve essere grande il cimitero della mia isola? Non riesco a comprendere come una simile tragedia possa essere considerata normale, come si possa rimuovere dalla vita quotidiana l’idea, per esempio, che 11 persone, tra cui 8 giovanissime donne e due ragazzini di 11 e 13 anni, possano morire tutti insieme, come sabato scorso, durante un viaggio che avrebbe dovuto essere per loro l’inizio di una nuova vita. Ne sono stati salvati 76 ma erano in 115, il numero dei morti è sempre di gran lunga superiore al numero dei corpi che il mare restituisce.
Sono indignata dall’assuefazione che sembra avere contagiato tutti, sono scandalizzata dal silenzio dell’Europa che ha appena ricevuto il Nobel della Pace e che tace di fronte ad una strage che ha i numeri di una vera e propria guerra. Sono sempre più convinta che la politica europea sull’immigrazione consideri questo tributo di vite umane un modo per calmierare i flussi, se non un deterrente. Ma se per queste persone il viaggio sui barconi è tuttora l’unica possibilità di sperare, io credo che la loro morte in mare debba essere per l’Europa motivo di vergogna e disonore. In tutta questa tristissima pagina di storia che stiamo tutti scrivendo, l’unico motivo di orgoglio ce lo offrono quotidianamente gli uomini dello Stato italiano che salvano vite umane a 140 miglia da Lampedusa, mentre chi era a sole 30 miglia dai naufraghi, come è successo sabato scorso, ed avrebbe dovuto accorrere con le velocissime motovedette che il nostro precedente governo ha regalato a Gheddafi, ha invece ignorato la loro richiesta di aiuto. Quelle motovedette vengono però efficacemente utilizzate per sequestrare i nostri pescherecci, anche quando pescano al di fuori delle acque territoriali libiche. Tutti devono sapere che è Lampedusa, con i suoi abitanti, con le forze preposte al soccorso e all’accoglienza, che dà dignità all’Italia e all’Europa.
Allora, se questi morti sono soltanto nostri, io voglio ricevere i telegrammi di condoglianze dopo ogni annegato che mi viene consegnato: come se avesse la pelle bianca, come se fosse un figlio nostro annegato durante una vacanza».
Giusi Nicolini